lunedì 22 giugno 2009

CONSIDERAZIONI SULLE TENDENZE IDEOLOGICHE ATTUALI

Per quanto io mi ritenga una profana in campo di dibattiti filosofico-ideologici, l'argomento mi incuriosisce alquanto, per cui ho cercato di documentarmi e di tracciare un quadro sintetico (e sommario) sulle correnti di pensiero dominanti in quest' epoca.

Nel dibattito teorico contemporaneo, mi sembra sia ancora presente e assai rilevante una corrente di pensiero che, rifacendosi direttamente a Nietzsche, non solo afferma che “dio è morto”, ma ci ricorda anche che il mondo reale NON ESISTE, COME NON ESISTE UNA CONOSCENZA UMANA OGGETTIVA.

Secondo questa impostazione NICHILISTA , la cultura occidentale avrebbe conquistato piena consapevolezza critica dell’inesistenza di QUALUNQUE FONDAMENTO, proprio perché avrebbe compreso che il proprio argomentare è sempre, ed inevitabilmente, dipendente dalle situazioni storiche e culturali.

Nella cultura post-moderna questa deriva nichilista ha assunto la fisionomia di un movimento che fa dell’assenza di ogni possibile fondamento l’elemento decisivo per la liberazione dell’uomo.

In questa prospettiva , ciò che libererebbe l’uomo sarebbe proprio l’assenza del fondamento: non sarebbe mai la conoscenza di ciò che è reale a liberare l’uomo, come insegnava Socrate sostenendo che la virtù è conoscenza, perché, al contrario, la verità coinciderebbe esclusivamente con ciò che ci libera (e quindi sarebbe soggettiva).

In altri termini il post-moderno disconosce completamente la possibilità stessa della conoscenza oggettiva (che interpreta in modo assolutistico e metafisico, quale conoscenza dotata di un fondamento assoluto) e sostituisce all’esigenza conoscitiva un’esigenza liberatoria basata sulla soggettività desiderante.

Su questa base si sviluppa l'OSCURANTISMO CULTURALE odierno che costituisce, a sua volta, la causa principale dell'alienazione della cultura contemporanea e della nostra società civile.

Questa impostazione mi sembra dare adito ad atteggiamenti che, per dirla in termini banali, orientano verso un liberalismo assoluto, che secondo me non può esistere, perchè implicherebbe l'assenza di regole che necessariamente limiterebbero questa pretesa libertà.


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Entro e contro questo specifico scenario del dibattito culturale contemporaneo , si è tuttavia sempre mossa, una differente tradizione di pensiero, quella del RAZIONALISMO CRITICO DI ASCENDENZA KANTIANA che ha invece messo al centro della propria riflessione il valore dell' ILLUMINISMO.

Questa composita tradizione di pensiero –che ha attraversato fasi e forme profondamente differenziate– ha sviluppato nel suo seno, con largo anticipo rispetto alle riflessioni del nichilismo contemporaneo, una profonda consapevolezza della necessità di ripensare fin dal principio la natura e lo scopo del sapere umano, nonché il valore pienamente etico del razionalismo conoscitivo tecnico-scientifico.

In questa prospettiva, la scoperta dell’impossibilità umana di accedere ad un sapere fondato in modo assoluto e intrascendibile, non implica affatto la negazione dell’oggettività della conoscenza.

Al contrario: la scoperta dell’impossibilità di mettere capo ad un sapere assoluto ed esaustivo si traduce in un fecondo criterio metodico in cui si deve sempre essere ben consapevoli che il nostro ragionare umano non può mai eliminare i “PRESUPPOSTI" del nostro argomentare perché, semmai, si basa sulla continua integrazione critica di questi presupposti.

Per l’intelletto finito dell’uomo i presupposti e I VARI PUNTI DI VISTA, sono sempre insopprimibili, proprio perché il nostro sapere costituisce costantemente sì un sapere oggettivo, ma collocato storicamente e culturalmente.

Ma il riconoscimento di questa condizionatezza storico-culturale non entra affatto in urto con la portata conoscitiva del nostro sapere, proprio perché l’uomo è stato capace di elaborare storicamente un sapere oggettivo mediante il quale ha potuto progressivamente modificare la sua esistenza terrena.

In quest' ottica, in cui il sapere non perde il suo significato oggettivo pur senza poter più attingere ad una dimensione assoluta, dogmatica ed intrascendibile, la VERITA' si configura sempre come lo strumento fondamentale ed irrinunciabile per la liberazione umana, e di conseguenza apre la prospettiva alla SPERANZA, intesa come possibilità per l'uomo di migliorare ulteriormente la propria esistenza.

Se il nichilismo postmoderno ha come suo motto la constatazione che la verità è solo ciò che ci libera, al contrario, per la tradizione neoilluminista, la VERITA' e la CONOSCENZA costituiscono elementi indispensabili ed irrinunciabili per porre in essere storicamente –e in modo reale e concreto– un autentico processo di liberazione.

Conoscenza e libertà appaiono quindi, secondo la tradizionale lezione illuminista kantiana , come i due aspetti complementari della medesima medaglia: senza libertà non vi è incremento della conoscenza, come del resto l’approfondimento della conoscenza rafforza e dilata la nostra libertà.

Una libertà che non è solo liberazione dal bisogno, ma è anche liberazione da ogni autoritarismo dogmatico proprio perché si riconosce che la nostra conoscenza, pur dovendo sempre prendere le mosse da alcuni presupposti (o dai nostri particolari “punti di vista”) tuttavia non ci preclude affatto la conoscenza del mondo vero, perché la verità oggettiva continua a mantenere il suo preciso significato giacché il VERO NON PUO' MAI ESSERE CONFUSO CON IL FALSO.

Muovendo da queste premesse, la storia culturale occidentale degli ultimi secoli può allora essere letta da un differente punto di vista che ci consente di reagire criticamente alla negazione del razionalismo, giungendo ad un diverso e più fecondo processo di liberazione che si basa sull’incremento del sapere critico e sulla PROGRESSIVA dilatazione della libertà umana entro un complesso e dinamico processo a spirale, per mezzo del quale libertà e conoscenza, intelligenza del mondo e volontà , costituiscono momenti irrinunciabili.


Chiedo perdono per la complessità di questo post, ma avevo bisogno di chiarirmi un pò le idee, anche se, per avere un quadro veramente completo del panorama ideologico contemporaneo, dovrei inserire la dimensione emozionale, che nel dibattito che ho citato è assente.
Mi ripropongo un'altra ricerca che integri le manchevolezze di quella presente.
Fin quì mi sembra chiaro che io propendo per la seconda impostazione filosofico-ideologica.

6 commenti:

Vincenzo Cucinotta ha detto...

Ho voluto leggere bene il tuo post prima di commentare.
Tu sai che io non credo che possa esistere un pensiero non ideologico. Secondo me, non ha proprio senso ipotizzare che il pensiero, articolato in parole organizzate mediante una specifica sintassi, frutto quindi di un'elaborazione umana, possa prescindere dalla sua stessa origine, storicamente determinata, e quindi anche ideologicamente organizzata.
Io credo in un mondo reale, ma non posso, alla fine in accordo con lo stesso Kant che su questo punto ha fallito, che considerarlo inconoscibile.
Tutta la tradizione post-kantiana su cui scrivi non è altro che il dibattersi sul rapporto tra ciò che diciamo e ciò che esiste. Il mio giudizio è che da questo aspetto non si esce. Se esiste una realtà, e noi la percepiamo attraverso due filtri, non ci resta che pulire al meglio i filtri per tentare di avvicinarci ad essa il più possibile. Alla fine, si tratta di lavorare sul linguaggio per renderlo il più possibile efficiente.
La critica che io faccio al post-moderno è che essi pretendono di uscire fuori dalle ideologie, mentre ce ne sono dentro fino a sopra i capelli.
Inoltre, già da Gadamer, che costituisce il riferimento iniziale per molti di loro, è stato sottovalutato l'aspetto del conformismo: pretendere di non avere ideologie ha come effetto più ovvio di sposare l'ideologia dominante.
Io credo che sia inevitabile sposare un'ideologia, che poi sarebbero i famosi presupposti o postulati di cui parlano anche i neo-kantiani. Trovo un po' ridicolo che il problema della conoscenza venga quasi messo al servizio della libertà. A me pare che davvero, quando un pensatore non sa come uscirne, usi la parola magica "libertà", che per la sua ambiguità, può essere usata con la dovuta flessibilità.
In ogni caso, mi piacerebbe sapere a quale specifico filosofo tu ti riferisca, perchè credo che le differenze tra l'uno e l'altro non siano così piccole.

Paola D. ha detto...

@Vincenzo: mi fa piacere questo tuo atteggiamento di disponibilità verso chi comincia a porsi quei problemi ideologici di cui tu parli e della cui imprescindibilità sei riuscito a convincermi. Ti ringrazio anche per le chiarificazioni che per me sono state molto utili. I filosofi cui mi riferisco sono Bobbio e Abbagnano (di cui peraltro ho una conoscenza sommaria e iniziale), per il concetto di esistenzialismo positivo, ciè dell'esistenza intesa come POSSIBILITA' data all'uomo di realizzare se stesso (il proprio essere).
Condivido con te l'attenzione al linguaggio che è il primo elemento attraverso cui si struttura ogni conoscenza e/o pensiero e la conseguente comunicazione.
Condivido pienamente anche l'imprescindibilità di una ideologia,come presupposto al proprio percorso di pensiero, e le considerazioni sul conformirmo come adeguamento all'ideologia dominante. Giacchè proprio quest'ideologia dominante non mi convince affatto, io come te sono alla ricerca di nuovi presupposti ideologigi, ricerca che ho cominciato da poco e che quindi non mi consente ancora di prendere delle posizioni definitive.
Non ho ben chiaro quali sono i FILTRI di cui tu parli che ci impediscono di percepire la realtà(se veramente è percepibile)come essa è. Ma forse l'hai specificato nel tuo libro e io adesso non me lo ricordo.Per quanto riguarda la critica al post-moderno di origine nietzechiana, mi sembra evidente che concordo con te.

Andrea ha detto...

Come ho scritto su la botte di diogene (non so se hai letto il mio post) condivido in toto le tue considerazioni, in particolare l'idea che la vera liberazione non possa sorgere se non da una concezione che ammette la possibilità di una conoscenza oggettiva del reale, kantianamente.

En passant faccio notare a Vincenzo che secondo Kant il mondo fenomenico, cioè l'esperienza, è assolutamente reale ed oggettivo, e lo è altrettanto la conoscenza che su di esso verte. L'interpretazione del fenomeno kantiano come mera apparenza contrapposta alla realtà in sé inconoscibile è quella che ne dà Schopenhauer, sicuramente al di fuori dello spirito del kantismo autentico. Tant'è che lo stesso Kant associa al proprio "idealismo trascendentale" una forma di "realismo empirico", laddove il mondo reale è proprio quello dei fenomeni spazio-temporali.

Complimenti kinnie! A presto
Andrea

Paola D. ha detto...

@Andrea:
ti ringrazio dell'incoraggiameno e dell'apprezzamento manifestato, purtroppo quello filosofico è un campo molto complesso da esplorare e, come dice Vincenzo, a volte il lnguaggio non aiuta a capire e a capirci; quando si tratta poi di autori stranieri, a volte le traduzioni non sono del tutto pertinenti perchè , nel passaggio da una lingua all'altra, spesso ci sono dei concetti non perfettamente traducibili.Forse è questo che ci impedisce di comprenderci appieno e di comunicare in modo oggettivo, come invece avviene più facilmente quando si usa il linguaggio scientifico.
Secondo me ci si avvicina alla realtà quando più persone condividono la stessa visione. Ecco perchè il confronto con gli altri è importante.
Questo è ciò che penso e non è detto che non sbagli.

Vincenzo Cucinotta ha detto...

@Andrea
Veramente, il problema del noumeno non ha mai avuto una sistemazione definitiva in Kant. Nel corso della sua vita e della sua opera, Kant capisce che il concetto di noumeno mettono in crisi tutto il suo sistema, e tenta di nasconderlo sotto il tappeto. ma senza successo. Questa non è una mia opinione, ma, proprio partendo da queste difficoltà, si sviluppa la filosofia post-kantiana. Non mi riferisco solo all'idealismo, ma anche alla scuola che si richiama esplicitamente a Kant, cioè i suoi stessi sostenitori. Nessuno mette in dubbio questa debolezza della filosofia kantiana: mi meraviglia che tu la sostenga a distanza di due secoli.

Andrea ha detto...

a Vincenzo
innanzitutto colgo l'occasione per ringraziarti della risposta che alla fine mi hai dato nell'altro blog sulla questione della relatività del moto.

Quanto alla questione del noumeno kantiano, mi fa piacere destare la tua meraviglia, visto che come sai - e come dice Aristotele - è proprio da essa che nasce la filosofia...
Su questo tema, ancor prima di post-kantiani e neokantiani, lascerei parlare Kant stesso. Ora, sul fatto che per Kant è il fenomeno a costituire la realtà oggettiva, e che il noumeno da un punto di vista teoretico - altra cosa da quello morale, ma è un altro conto - sia solo un concetto limite volto a circoscrivere il conoscibile dall'illusione metafisica, non credo dovrebbero esserci dubbi. Cr. Rag. Pura, Analitica trascendentale, Libro II, Cap. III (intitolato proprio "sul fondamento della distinzione di tutti gli oggetti in phaenomena e noumena): "Il concetto di un noumeno - cioè di una cosa, che deve essere pensata non già come oggetto dei sensi, bensì come cosa in se stessa... è necessario...per limitare la validità oggettiva della conoscenza sensibile (difatti le altre cose, cui non giunge l'intuizione sensibile, si chiamano noumeni...)." E soprattutto: "Di conseguenza, il concetto di noumeno è semplicemente un concetto limite per restringere le pretese della sensibilità, e perciò è soltanto di uso negativo. Tale concetto...si collega alla limitazione della sensibilità, senza tuttavia poter porre alcunché di positivo al di fuori dell'ambito di essa".
E' vero che Kant è arrivato faticosamente alla chiarificazione definitiva di tale concetto, ma questo capita quando si esprime un pensiero non banale e veramente innovativo.
Ripeto che l'interpretazione del noumeno come "vera realtà" è di stampo schopenhaueriano, lettura che relega il fenomeno nel campo dell'illusione (e quindi capovolgendo del tutto l'impostazione kantiana).
Quanto ai neokantiani, l'interpretazione che sottoscrivo, ritenendola fedele alla lettera originale, puoi trovarla tranquillamente nel Cassirer della Storia della filosofia moderna, in pieno XX secolo, senza dover tornare indietro di due secoli.