lunedì 3 agosto 2009

AFORISMA N. 2

"IL CIELO STELLATO SOPRA DI ME, LA LEGGE MORALE DENTRO DI ME"

Emanuel Kant: il primo anarchico della Storia?


9 commenti:

Andrea ha detto...

Scusa Kinnie, perché anarchico? Comunque Kant non lo era, crede nella necessità dello Stato per uscire dal bellum omnium contra omnes che anche per lui (come per Hobbes) caratterizza lo stato di natura che precede la formazione di una società giuridica.

Paola D. ha detto...

Andrea:questo post voleva essere forse una provocazione:-))
Ti ringrazio comunque vivamente per i chiarimenti che mi aiutano a riprendere dal dimenticatoio ,in cui sono finite in tutti questi anni,alcune conoscenze che ritengo di fondamentale importanza.

Paola D. ha detto...

Perchè anarchico?!
Ma scusa, uno che non ha intermediari fra il cielo, la natura, Dio o chi per lui,e la propria legge morale, da lui costruita ad hoc, dentro di sè, come lo chiameresti?
Sto scherzando: sicuramente Kant, quando pronunciò la famosa frase intendeva dire qualche altra cosa, sicuramente in un contesto diverso.

Chiedo scusa per il ritardo nella risposta: sono stati "giorni di fuoco"!

riccardo uccheddu ha detto...

Sostanzialmente condivisibile quanto dice Andrea sulla visione che dello Stato ebbe Kant.
Ma benché Kant non sia stato né un giacobino né un precursore dell’anarchismo, manifestò (cfr. I. Kant, “Il conflitto delle facoltà” e A. Illuminati, “Kant politico”, La Nuova Italia, Firenze, 1971, p.137 sgg.) grande rispetto per la Rivoluzione francese e per l’idea di rivolta se scrisse: “I diritti dell’uomo sono più importanti dell’ordine e della tranquillità… che si fondino sull’oppressione generale. Mentre i disordini, che scaturiscono dal desiderio di giustizia, passano.”
Perciò, Kinnie, la tua “provocazione” ha molto senso e non solo in ottica “provocatoria.”
Inoltre le celebri parole che citi (“Critica della ragion pratica, Laterza, Bari, 1982, “Conclusioni”, p.197) costituiscono per Kant un’esaltazione della libertà individuale e delle scelte che per lui dobbiamo compiere facendoci guidare innanzitutto dalla nostra ragione, senza cedere mai al fanatismo, all’ignoranza ed a conformismi di sorta.
Buon fine settimana a te ed ai tuoi!

Paola D. ha detto...

Grazie,Riccardo, per avere accettato la mia provocazione.In fondo, anche se si tratta di pensatori del passato,quando esprimono dei concetti universali, non si finisce mai di riscoprirli e di approfondirli. Anche perchè non sempre i loro contemporanei sono in grado di apprezzare le loro idee fino in fondo, essendo queste a volte troppo avanzate rispetto ai tempi in cui sono espresse.
Grazie e buon fine settimana a te.
Paola.

Andrea ha detto...

Condivido Riccardo, Kant accolse con favore la rivoluzione francese proprio in quanto afferma i diritti inalienabili dell'uomo e del cittadino. Ma per quanto ne so l'esercizio di tali diritti per Kant è reso possibie solo attraverso la legge dello Stato. E nell' opera "Per la pace perpetua" egli afferma che l'unica pace che egli ritiene possibile è quella garantita dalla legge. Il consenso verso la rivoluzione francese non riguarda l'idea di rivolta in sé, ma quella, come in quel caso, che mira alla costruzione di uno Stato che garantisca i diritti inalienabili, attraverso una Costituzione.
Venendo più direttamente a Kinnie, è Kant stesso a distinguere nettamente tra la sfera della morale e quella del diritto. La libertà incondizionata del singolo vale solo nella prima (la libertà "positiva"), ma non nella seconda, dove la libertà "esterna" o "giuridica" consiste nell'obbedire alle leggi cui ho potuto dare il mio consenso. E' la libertà che secondo lui può essere garantita solo da una Costituzione repubblicana, quindi da uno Stato che noi definiremmo "democratico". Ma pur sempre di Stato si tratta.

Paola D. ha detto...

Andrea: Sono proprio contenta che Kant la pensi così,perchè anch'io la penso così e con la mia provocazione io lì volevo arrivare.
Un saluto.Paola.

riccardo uccheddu ha detto...

Riscontrata forte sintonia con Paola, approfondirò ora il tema del Kant “politico” con Andrea.
Concordo con te, A., sulle puntualizzazioni relative ad un Kant fautore di un regime “democratico” e costituzionale; egli non era certo Babeuf, né Bakunin o Stirner. Ma penso che ciò risultasse chiaramente dalle mie osservazioni.
Però l’appoggio di Kant all’’89, come vediamo dalle frasi che ho tratto dall’”Antropologia”, non erano semplicemente morali, sentimentali e e neanche (solo formalmente) legalistiche. Per lui, situazioni di grave ingiustizia potevano, come nel caso francese, legittimare una rivoluzione.
K. non si spinse mai a farne il cardine della sua teoria giuridico-politica, ma le frasi dell’”Antr.” sono chiare… e ve ne sono altre nel “Conflitto delle facoltà”, nella “Pace perpetua” eccetera. K. parlò di “diritti” e per lui, le parole avevano un significato preciso.
Né bisogna scordare che all’epoca molti Paesi erano delle monarchie + o meno assolute; perciò, prima che nascessero Stati “democratici” e costituzionali, il rischio di “certe” soluzioni esisteva… Soluzioni che K. non esaltava ma neanche condannava a priori.
Infatti, sempre nell’”Antr.” K. Affermò che i capi della Riv. fr. sarebbero stati “portati nel tempio della fama” mentre bollò il premier inglese Pitt come “nemico del genere umano”; e l’Inghilterra di Pitt non era assolutista…
Inoltre, per K. la democrazia deve essere effettiva se come affermò in “Che cosa significa orientarsi nel pensare?” la libertà appunto di pensiero (benché interiormente libera) deve poter essere esercitata realmente.
Consideriamo dunque l’indirizzo complessivo del pensiero di K. ed il fatto che egli fu mosso da esigenze di forte prudenza (cfr. Illuminati, Losurdo, De Federicis ecc.) che però non gli impedirono affermazioni ardite, per i suoi tempi; per il Gentz et alii egli era addirittura un “vecchio giacobino”!
Comunque, quella “prudenza” non lo portò a bloccare la pubblicazione de “La religione entro i limiti della sola ragione”, a piegarsi quindi alle ire della censura prussiana.
Del resto, a proposito della massima della “Critica” citata da Paola, n.b.: Kant aggiungeva che “l’ammirazione e il rispetto” per il “cielo stellato e la legge morale” possono “bensì eccitare alla ricerca, ma non compensano la sua mancanza.”
Insomma: egli riconosceva certo la necessità dello Stato; al contempo, non negava, in particolarissime condizioni il diritto d’abbattere uno Stato ingiusto e la sua sostizione con uno giusto. Né in questo poteva essere più indietro di Giovanni di Salisbury o di S. Tommaso.
Chiedo scusa a Paola ed a Andrea per la lunghezza, purtroppo necessaria in temi così complessi.

Andrea ha detto...

Per Riccardo.
Anch'io concordo sostanzialmente con le tue osservazioni.
Però: il diritto a ribellarsi al tiranno è presente anche nel pensiero liberale classico (vedi Locke) e in questo Kant non mi pare aggiunga nulla di nuovo.
Ribadisco che in ogni caso l'esercizio dei diritti, come la libertà di pensiero, è previsto solo all'interno di un quadro giuridico, e quindi dello Stato.
Per quanto riguarda la censura allo scritto sulla religione, Kant riuscì ad evitarla sottraendolo all'esame della facoltà teologica e rimettendolo a quella di filosofia che diede l'imprimatur, di certo non contravvenendo al decreto che istituiva la censura.
E quando nel 1794 a Kant fu ingiunto per ristretto regio di astenersi dal trattare di nuovo tali argomenti, egli vi si attenne rispondendo che in futuro si sarebbe astenuto dal pubblicare scritti in materia religiosa, aggiungendo: "tacere in un caso come il presente è dovere di suddito; e se tutto ciò che uno dice deve essere vero, non perciò è anche un dovere dire pubblicamente ogni verità" (brano citato nell'Introduzione di Olivetti all'edizione Laterza dell'opera).
Questo non per sminuire la figura di Kant (non lo vorrei né ci riuscirei comunque), ma a dimostrazione di quanto fosse radicato in lui il rispetto delle istituzioni dello Stato e dei loro decreti ("dovere di suddito"), anche se non condivisi.