lunedì 27 giugno 2022

IL TEMPO PERDUTO

Dentro il fosso dalle alte sponde scure, le lunghe chiome proiettavano le loro cime brune sul tremolio dell’acqua sottostante. La buca aveva la dimensione di poco più di un metro quadrato ed era di forma ovale, tutta circondata da alti pioppi che sembravano essere piantati lì apposta. Quel luogo era un incanto: c’era l’acqua, gli alberi, gli uccelli che si rincorrevano sulle fitte fronde di un verde intenso, diverso da tutto il resto che costituiva allora la campagna dove trascorrevo il periodo migliore delle mie vacanze estive.

 Avevo risalito il piccolo ruscello fino alla sua sorgente, almeno a quella che credevo lo fosse,  che in fondo non era così lontana dal punto dove l’acqua, dopo aver attraversato un breve tratto di campagna, sgorgava a forza, tuffandosi fra alte pareti di roccia e proseguendo così la sua strada , in parte a vista, in parte sotterranea, verso la meglio nota “ Sciumaredda”.

In quell’angolo di paradiso trascorrevo le mie mattinate tra un’arrampicata e l’altra sugli alberi che traevano beneficio dall’ umidità del terreno circostante. C’era un fico secolare che con la fitta chioma formava un gigantesco ombrello sotto il quale trovavo rifugio nei momenti di forte calura. Più in là, un alto noce mi consentiva di raggiungere altezze inconsuete per spaziare con lo sguardo sull’intero territorio. I bordi del ruscello erano costeggiati da deliziosi melograni dai fiori vermigli e da una conturbante distesa di  canne fiorite. Una scoscesa scaletta di pietra conduceva al luogo più basso: quello in cui l’acqua sgorgava limpida e pura come nelle migliori sorgenti di montagna. Lì si scendeva per riempire i secchi, i bidoni e le “quartare” che ci servivano da provvista per l’intera giornata, dato che in casa non c’era il rubinetto e noi dovevamo lavarci fuori, tra le robinie che crescevano in fretta e che offrivano un valido riparo dai cocenti raggi del sole di quelle mattine di torrido Agosto. Noi ragazzi eravamo addetti a questo lavoro ed era una conquista guadagnare la salita fino alla casa, più e più volte, con quel carico insolito. La casa era in pietra, con muri spessi fino a un metro. In fondo, una vecchia grotta, scavata in tempo di guerra per ripararsi dai bombardamenti, era stata trasformata poi in cucina, un’ampia cucina dove tutto sapeva di fresco e di buono. Mia madre vi cucinava le crocchette di patate al sapore di aglio e menta, la salsa fresca di pomodori sbucciati e perfino delle squisite creme o budini che servivano da dessert e da merenda. In alto c’era una finestrella, con le grate di ferro, che arieggiava il locale, ma faceva entrare anche tanta polvere. Le formiche, le vespe, i gechi e ogni tipo di insetto, erano di casa, e noi ci difendevamo con delle vigorose spruzzate di DDT. In fondo alla cucina, un’appendice di quella che era stata la grotta, separata dal resto da una porticina con la rete, fungeva da frigorifero, dove trovavano posto i “ bummali ” con il vino e le “ quartare” con l’acqua fresca.

Mio zio era più giovane di mia madre ed io lo ricordo ancora con quell’aria baldanzosa e quell’euforia quasi fanciullesca quando, armato di tutto punto con gli attrezzi che servivano allo scopo, ci conduceva in  giro per i nostri luoghi magici alla ricerca di farfalle di vario tipo di cui era competente collezionista .Cercando di non far rumore che potesse distrarre l’insetto, l’acchiappafarfalle calava con mano sicura, intrappolando nella sua rete quell’arcobaleno di colori , mentre rallentava il suo volo per posarsi sul fiore prescelto. Estratta delicatamente dal cono di rete bianca ,la farfalla che destava maggiormente l’interesse per la peculiarità dei colori veniva poi tenuta cautamente tra le dita per non sciuparne le ali e successivamente infilzata sulla testa con uno spillo che la immobilizzasse per sempre, per venire poi esposta, insieme ad altre, nell’apposito contenitore bianco col coperchio di vetro che mio zio aveva costruito per ospitare i preziosi reperti. Numerose varietà di papilionacee facevano bella mostra nella sua bacheca e, sotto ad ognuna , il nome, scritto in latino, ne visualizzava la classificazione . Io ero percorsa da un brivido , allorquando assistevo alla crudele morte di quelle splendide e innocue creature, infatti, di tutto questo percorso, quello che mi attirava di più era la corsa in mezzo ai fiori  e all’erba alta. A volte , una vegetazione appiccicosa si attaccava ai vestiti ed io, incuriosita, la raccoglievo per farne piccoli cestini ed

altri oggetti che quella strana pianta mi consentiva di modellare e lì, nella mia campagna per buona parte incolta, ce n’era a iosa.

I mie vicini erano quattro ragazzi che, vedendoli nella città dove abitualmente vivevano, non avresti riconosciuto, tanto erano qui sporchi e malvestiti, quanto là lindi e puliti. La campagna li trasformava in tanti piccoli Robinson, pronti ad inventarsi sempre qualcosa per sfruttare appieno le peculiarità che quella natura così rigogliosa offriva. Ed eccoli a scavare tunnel per collegare un angolo particolarmente suggestivo ad un altro altrettanto ameno o a legare corde al ramo di un albero, da cui potersi lanciare, alla maniera di  Tarzan, per scavalcare un piccolo ruscello. Io osservavo, ma difficilmente potevo competere nelle loro acrobazie. Li seguivo invece nelle loro escursioni all’interno di un grande uliveto: lì ci perdevamo, e ci chiamavamo, immaginandoci sperduti in un bosco come Hansel e Gretel.

Di pomeriggio, con mia madre e mio fratello, salivamo nella parte più alta del terreno per raccogliere qualche mandorla, che poi consumavamo dopo averla privata, con una grossa pietra, della scorza spessa e verde scuro e dell’altra , più interna e dura, di colore marrone chiaro. Da lassù si dominava l’ampia vallata verdeggiante e  le colline di fronte e si potevano anche scorgere le case sulla cima della montagna che fronteggiava la nostra e da cui ci separava una considerevole distanza. Lassù abitava mia zia e noi tre a gridare in coro: “Mariaaaa……Mariaaaa……” . Alla fine lei ci sentiva e rispondeva: “Saliteeee”.

Dopo esserci brevemente consultati tra noi tre, decidevamo di compiere l’impresa. Il tragitto si presentava impervio: lungo la camminata, dovevamo tenerci ai rami e alle erbe spontanee per non scivolare. Mia madre si aiutava con un bastone. Attraversavamo terreni  incolti, per lo più mandorleti e uliveti piuttosto trascurati. Numerose erano le erbe spinose, che ci graffiavano le gambe, e le piante di ficodindia, che evitavamo accuratamente. A tre quarti dal percorso, però, un grande gelso ci attendeva per un po’ d’ombra e ristoro con i suoi succosi frutti, che ci imbrattavano le magliette oltremisura. Giunti finalmente in cima, mia madre veniva fatta accomodare per smaltire la stanchezza con una fresca bibita, mentre noi volavamo, con le braccia e con le gambe, fino a toccare i rami degli alberi più alti. La nostra fatica veniva alla fine premiata con il raggiungimento dell’agognato obiettivo: la conquista dell’altalena.

domenica 26 giugno 2022

PERCHÉ IL BLOG È MIGLIORE DEGLI ALTRI SOCIAL

 Quello che dà fastidio negli altri social è secondo me la pubblicità.

Anche in alcuni blog vedo della pubblicità, ma la differenza è che qui essa è scelta e voluta dall'utente, mentre su Facebook e persino su YouTube ti viene imposta senza che tu abbia la possibilità di annullarla. Per la verità, a volte sì ma ne viene di continuo riproposta un'altra e un'altra ancora impedendoti di leggere serenamente un articolo o di vedere o condividere un filmato.

A me dà un gran senso di fastidio, non solo telematicamente ma anche in tv, questa interruzione continua che non serve certo a me ma a chi ci guadagna con questi social network che sono solo illusoriamente gratuiti ma in realtà ci prendono tanto in termini di tempo e di concentrazione. 

giovedì 23 giugno 2022

LA NOIA

 Non voglio parlare del famoso romanzo di Moravia che molti di voi avranno certo letto ma che io non ho mai avuto l'opportunità di leggere anche se da Wikipedia ho ricavato la trama. Lessi " Gli indifferenti" ma poi ho abbandonato questo scrittore anche se seguivo spesso i suoi articoli sul settimanale l'Espresso.

Fu lì che lessi una sua affermazione che mi è rimasta impressa nella memoria, a proposito della guerra fredda. Diceva pressapoco così :

"Non parteciperò alle marce per la pace perché ormai la guerra, a causa del nucleare, diventerà tabù". 

Ci ho creduto fermamente e questa convinzione mi ha liberata da molte paure che avevo a quei tempi.

Adesso le paure pare vogliano rimetterle, perché, secondo me, è più facile mantenere tranquillo un modo di gente che ha paura. Non so, forse è un sospetto infondato. Ma il fatto è che, quando ho la tentazione di avere paura, ripenso sempre a quella frase di Moravia e mi tranquillizzo. Ma mi chiedo : allora perché si continua a fare la guerra?

Non si dovrebbe risolvere tutto in maniera diplomatica?

In questa vicenda c'è qualcosa che non mi quadra : si potrà mai sconfiggere la Russia?

Eppure le parole del nostro presidente del consiglio e gli interventi degli altri senatori, l'altro ieri al senato, mi sono sembrate convincenti. Ma io continuo sempre a pensare che tutte le armi dovrebbero essere abolite per sempre. 

sabato 18 giugno 2022

Mi sta sembrando come fb

 Dopo alcuni anni che non scrivevo ho ripreso questo blog ma sto trovando pochi riscontri rispetto a prima.

In più i commenti sono stringati e non estesi come succedeva prima.

Mi sembrano tutti frettolosi e un po' scocciati. O forse sono io che ho perso il mio smalto di una volta.

Scusate amici, se mi leggete, vi chiedo di lasciare un segno perché non so più chi sono i miei follower e io non ho più accesso al mio blog roll. Solo attraverso i commenti riesco a contattarvi.

Per precisare : scrivo dal telefono


giovedì 16 giugno 2022

IL PRIMO BALLO

La sposa si faceva  attendere, mentre tutti gli invitati cercavano di sistemarsi ai tavoli apparecchiati del ristorante.

Miriam prese posto, insieme ai suoi genitori e suo fratello, in un tavolo per quattro, non molto distante da quello centrale, già predisposto per gli sposi.

Era il matrimonio di una vicina di casa che, quando Miriam era ancora una bambina, amava giocare con lei, portandola a casa loro e prendendosene cura amorevolmente.

A mano a mano presero posto anche gli altri invitati. Si trattava di gente modesta, vestita alla buona, e Miriam si sentiva quasi a disagio in quel suo vestito di lino celeste, a tubino, con la giacchetta in tinta e la borsetta in vernice nera come le scarpe, aperte, col primo tacchetto  che le consentivano i suoi tredici anni.

Non era andata dal parrucchiere perchè, pochi giorni prima, aveva dovuto agghindarsi per un altro matrimonio di ben altro livello. Lì, quasi, l’avevano messa in disparte, tutti presi a guardare e corteggiare le belle ragazze di buona famiglia che mettevano in bella mostra la loro eleganza , la loro avvenenza nonché la loro abbronzatura ( era il periodo dei tre mesi di vacanza al mare, per chi poteva permetterselo) . Miriam ci era rimasta un po’ male. Si sentiva brutta: era troppo alta, per la sua età, il collo troppo lungo, le spalle un po’ piccole, le gambe robuste e la pelle chiara dimostrava senza ombra di dubbio che , nell’estate che già volgeva alla fine,in quei giorni di inizio settembre, la sua vacanza l’aveva trascorsa a casa. 

Portava i capelli corti, alla Rita Pavone, la cantante che in quegli anni faceva letteralmente impazzire tutte le ragazzine, lei compresa, e al collo indossava, per l'occasione, il girocollo d'oro con una grande medaglia della madonna del rosario che le aveva regalato la sua madrina per la cresima. Sembrava decisamente più grande della sua età ,che lei teneva a rimarcare, perché in fondo, dentro, si sentiva ancora una bambina.

Ora , a quel matrimonio, avrebbe voluto rifarsi della brutta figura che credeva di aver fatto in quello precedente 

La sala era lunga e piuttosto stretta, interrotta da pilastri che ne sostenevano il soffitto. I tavolini erano messi di sbieco, in modo da consentire ai camerieri lo spazio necessario per servire agevolmente il pranzo.

 Le pareti, tinteggiate di bianco, volevano dare più luminosità e ampiezza al locale, le cui ampie vetrate, disposte per tutta la lunghezza e sguarnite di tende, si aprivano ad una splendida veduta sul lago.

Quando, giunti gli sposi, i camerieri iniziarono a distribuire le portate, Miriam, da ragazza di buona famiglia, educata alle buone maniere, dispose il tovagliolo sulle gambe, assunse una postura eretta , niente gomiti sul tavolo e, aiutandosi con coltello e forchetta, cercava di darsi da fare per apparire un’esperta di galateo a tavola e non destare quindi alcun dubbio sul fatto che ella a casa propria si comportasse proprio così.

I problemi si presentarono allorquando, nel servire il secondo, i camerieri le posero nel piatto delle anatre arrosto. No, quelle non avrebbe proprio potute mangiarle con coltello e forchetta: avrebbe dovuto sporcarsi le mani per rosicchiare quelle alucce e, se avesse usato le posate, le sarebbero sicuramente saltate via dal piatto. Così ordinò una bistecca.

Tra una portata e l’altra, i rumori provenienti dalla sala discretamente affollata non davano agio ai quattro commensali di interagire fra loro e poi Miriam era tutta presa a guardarsi intorno nel caso scorgesse qualcuno che già conosceva, oltre alla sposa. Suo padre, d’altro canto, era tutto impegnato a godersi serenamente un pasto per cui non aveva dovuto lavorare, per guadagnarselo, e una festa, una delle poche, per cui non aveva dovuto darsi da fare per organizzarla. 

Anche sua madre appariva molto rilassata, mentre suo fratello era occupato a guardarsi intorno. Così Miriam cominciò a sentirsi un po’ frustrata nella sua vana ricerca di persone conosciute, ma rassegnata nel dover assicurare una presenza che era più che altro un dovere, quando ad un tratto, con la coda dell’occhio, quasi distrattamente, si accorse di due strani occhi che trapelavano da due occhialoni da miope con la montatura spessa e nera.

Era seduto al tavolo accanto al suo, ma non lo aveva ancora notato.

Aveva l’apparente età di quattordici anni, quasi buffo nel suo vestito principe di Galles, con la camicia bianca e la cravatta stretta e scura come i capelli tagliati corti come fosse appena uscito dal barbiere.

 Dall’aspetto appariva signorile e qualcosa le disse che, da quando erano seduti lì, non le aveva mai tolto gli occhi di dosso.

 Lei non capiva perché la stava osservando così intensamente. “Forse ho commesso qualche errore nel modo di mangiare?” pensò e nello stesso tempo fu contenta che un quasi coetaneo la ritenesse degna di una qualche attenzione.  Forse avrebbe voluto parlare di dischi e di canzoni, che erano i suoi argomenti preferiti quando stava con le compagne, oppure di scuola!

Cercava di non farci molto caso quando si accorse che lui aveva cambiato posto per poterla osservare meglio e si era messo quasi di fronte a lei.

Miriam cercava di non corrispondere a quello sguardo ma, tutt’a un tratto, quell’ambiente così deprimente, fino ad un attimo prima, le sembrò animarsi di una nuova vitalità e all’improvviso le parve che tutta l’aria profumasse d'amore. 

E le scappò un sorriso.

Più tardi, finito il pranzo, i tavoli in fondo furono scostati e cominciarono i balli. 

I balli?  Ma non usava più ballare ai matrimoni! Pensò Miriam. Quella gente era proprio all’antica! Ma intanto il padre, che cominciava a divertirsi, decise di non salutare per andar via, come la ragazza pensava avesse fatto, e di rimanere un po’ a godersi lo spettacolo.

Gli sposi aprirono le danze e,a seguire, i giovanotti si affrettarono ad invitare le ragazze ( a quei tempi era l’unico modo consentito per tentare qualche approccio). Miriam, scambiata per una sedicenne, fu anch’essa invitata a ballare ed ella, un po’ impacciata, perché non si pensasse che fosse scortese, accettò.

La madre la guardava con attenzione e una punta di gelosia. “ La mia bambina!”, pensava, e non riusciva a rassegnarsi di doverla vedere diventar grande.

L’impaccio finì subito quando si avvicinò il ragazzo notato prima: aveva quasi la sua età, pensava Miriam, e si poteva parlare di canzoni o anche di scuola.

“ Come ti chiami?” – iniziò subito.

“ Sebastian” - rispose.

“Quanti anni hai?”

“Diciassette”

“Che scuola frequenti?”

“Il liceo”

E fu subito amicizia.

La madre si tranquillizzò e il padre continuava ad essere rilassato dal fatto che la propria figlia avesse trovato un coetaneo per divertirsi un po’.

Così quel ballo durò due ore.

Accaparratisi la postazione più vicina al juke box, si divertivano a cambiar canzoni e subito ricominciare a ballare. Il ballo della mattonella era quello che andava più in voga in quell’estate del 1964 e così, tra John Foster, Petula Clark, Rita Pavone, Celentano e Peppino di Capri, trascorsero in fretta due orette, chiacchierando del più e del meno, lui con le mani intorno alla vita di lei e lei con le mani sulle spalle di lui.

Ma quando Sebastian inserì il disco di John Foster “Se questo ballo non finisse mai”, lei gli rispose subito con un’altra canzone : “Non ho l’età, non ho l’età per amarti, non ho l’età…”, infatti gli confessò di avere solo tredici anni.

Il gioco diventava sempre più intrigante e, quando la madre di Miriam decise che era giunta l’ora di andar via, si salutarono con un po’ di magone . Chissà quando si sarebbero rivisti!


Sebastian rimase ancora un po’ nella sala e, pervaso da un senso di smarrimento , non capiva cosa gli stesse succedendo. 

 Più tardi si recò coi genitori a casa della sposa per gli auguri di rito. Sperava di incontrarla ancora lì ma Miriam era già andata a casa sua. Chissà cosa sarebbe successo se avesse saputo che la sua casa era a due passi da quella dei vicini!

 Dopo aver salutato gli sposi, mentre coi suoi si avviava in macchina verso la sua cittadina, fu assalito da una profonda tristezza , come se un senso di vuoto  gli piombasse addosso, aveva la sensazione di aver sfiorato e perduto qualcosa di importante, e una lacrima gli scivolò sulla guancia.

Dietro i vetri gli alberi si rincorrevano sempre più veloci.

Qualche mese dopo, iniziata la scuola, Sebastian la cercò in tutti gli istituti superiori della città e, alla fine, seppe che si trovava in collegio, così le inviò una lettera:

“….. i tuoi occhi sinceri, la tua voce così dolce, mi hanno fatto innamorare follemente di te”.

Ma lei gli scrisse subito: “Ho solo tredici anni”

Sebastian, deciso ad aspettarla, comprò tutti i dischi che avevano ballato a quel matrimonio e, sulla copertina di ognuno, incise le iniziali “M.S.”.

Più volte si recava nella chiesa del collegio ad ascoltar la messa sperando di vederla, ma Miriam, da ligia collegiale, non si girava mai.

Quando le suore, la mattina, facevano il giro col pulmino per accompagnare le collegiali nei vari istituti, Sebastian le attendeva davanti al liceo, sperando, tra le tante ,di vedere Miriam. Ma lei era già scesa.

Certe sere di primavera, Sebastian, con un gruppo di ragazzi, si fermava sotto la finestra del dormitorio delle collegiali e, tutti insieme, col sottofondo del mangiadischi dell’epoca, gridavano a squarciagola i loro canti d’amore.

Le collegiali, eccitate , si accalcavano dietro la finestra, ognuna sperando di vedere il loro ragazzo del cuore.

Ma Miriam dormiva. Quei canti non potevano essere certo per lei: aveva solo tredici anni!

Sebastian intanto collezionava tutte le foto che riusciva a ricavare dai negativi lasciati dal fotografo quando Miriam andava a stampare le sue fotografie e così, dopo alcuni anni, fu in grado di riconoscerla mentre passeggiava per una delle vie di Catania. Subito corse a casa a prendere uno di quei dischi che portava sempre con sé e, sempre correndo, tentò di regalarglielo. Ma Miriam non lo riconobbe: aveva la barba e i capelli lunghi. Come si azzardava quello sconosciuto a volerle regalare un disco? Sarà sicuramente pazzo, pensò. E così lo trattò male. 


Si rividero dopo quasi cinquant'anni. 

Lui era diventato medico e lavorava all'ospedale. Lei una gradevole sessantenne da poco in pensione. Entrambi erano sposati. 

  • Dopo essersi salutati cortesemente, "Ti riconosco" - disse, e rimasero qualche minuto a guardarsi in silenzio sorridendo increduli. A lei venne una strana voglia di ballare ma lui disse che non sapeva farlo. Era molto cambiato, non aveva più i capelli di un tempo e il viso stanco era solcato da impercettibili rughe. 

L'aveva contattata su fb e lei dapprima aveva stentato a riconoscerlo, ma poi ricordò tutto e le sembró di colpo di tornare indietro nel tempo, di ridiventare la ragazzina che era, ma finalmente sicura di sé. 

Si erano parlati qualche volta al telefono e un clima di fiducia reciproca aleggiava fra i due. 

Miriam era contenta di aver ritrovato un vecchio amico a cui si sentiva affine e si rese conto di non aver mai dimenticato quel ballo e come si sentiva serena allora. 

"Siamo figli della stessa cultura e dello stesso sentire", le aveva detto un giorno. 

Poi le regalò il libro che le aveva promesso e si salutarono come se dovessero rivedersi. 

Ma non si rividero mai più. 

Però si sentirono spesso. 


Adesso riposa nella nuda terra, come aveva sempre agognato, in un vecchio cimitero abbandonato, ma i suoi libri e le sue poesie continuano a parlare di lui. 







mercoledì 8 giugno 2022

Il nuovo ordine mondiale che si va delineando

 Cosa pensate di questo nuovo ordine mondiale che si va delineando?

Non più netta distinzione fra oriente e occidente dato che la Cina si è occidentalizzata anzi è diventato il laboratorio dell'occidente, tanto è vero che alla richiesta di mediazione con la Russia xi jnping ha risposto che non è interessato, gli interessa di più il commercio con l'America.

Mentre in Europa esiste una corposa corrente filoputiniana.

Noi ci troviamo in una situazione di ambivalenza nei confronti degli USA perché da un lato si vorrebbe staccarsi dall'ombrello protettivo degli Stati Uniti e fondare un federalismo autonomo. La Russia resterebbe isolata? Non credo.

La situazione è in evoluzione. 

Come pensate che si dipanerà la matassa? 

martedì 7 giugno 2022

AFORISMA

 "Abbiamo bisogno della libertà per impedire che lo Stato abusi del suo potere e abbiamo bisogno dello Stato per impedire l'abuso della libertà. "

Karl Popper, La lezione di questo secolo, Venezia 1992

lunedì 6 giugno 2022

TEST PSICOLOGICO

 Ecco il mio profilo, secondo Jung :


( se volete provare anche voi l'indirizzo è : http://www.altamira.it/html/test_psico/test.asp?cmdG=Q )

"Per questo tipo introverso, è di primaria importanza essere coerente con i valori nei quali crede. Possiede una sorta di senso etico naturale o spontaneo che diventa spesso segretamente comunicativo. In sua presenza le persone tendono a rispettare e seguire i valori nei quali crede. Esercita quindi un effetto positivo sugli altri. È una persona calma e riservata. È sensibile e capace di trattare la gente in maniera molto differenziata. Sa infatti percepire, grazie alle sue ottime qualità intuitive, le differenze e le caratteristiche delle persone che ha di fronte. Malgrado queste doti, può però apparire come un individuo freddo e distaccato a causa della sua introversione che lo porta o non aprirsi facilmente. È difficile da conoscere ed è molto selettivo nelle sue amicizie. Ha tendenza a idealizzare le relazioni che per lui sono importanti con il rischio di subire alcune grosse delusioni. Ha inoltre tendenza a personalizzare molto le situazioni con il risultato di essere facilmente ferito o più semplicemente offeso. Ed essendo introverso tende a non “esternare” i suoi sentimenti quando sono stati feriti: si tiene tutto per sé. La sua funzione inferiore è la sensazione. Non è quindi particolarmente realistico e pragmatico. Rischia di saltare troppo velocemente alle conclusioni, tralasciando l’analisi di fatti e dettagli importanti. Preferisce seguire le sue ispirazioni, rischiando di commettere degli errori che potrebbe evitare. Non ama prendere tempo per essere preciso. È una persona creativa e curiosa. Aperta ed interessata a fare nuove conoscenze ma anche a conoscere nuove idee, libri, iniziative. Ha frequentemente un amore spiccato per l’arte. Può essere un buon comunicatore che si esprime in maniera appassionata. Ha bisogno di periodi di solitudine o di isolamento. Può avere delle forti spinte religiose o interessi spirituali. Sul piano lavorativo può essere attratto da professioni che abbiano una componente umana, relazionale o basata sul linguaggio. È forse il più intellettuale tra i tipi sentimento. È inoltre molto leale nei confronti di una organizzazione capace di essere in sintonia con i suoi valori personali.

domenica 5 giugno 2022

ATTESA

 Che c'è di più dolce che l'attendere

Qualcosa che forse arriverà

Tra un anno, un'ora, un minuto

Qualcosa che, chissà,

Forse è già qui. La speranza

Dà senso ai nostri giorni,

A noi che non sapremo

Mai vivere il presente

Ma viviamo sempre

Nell'attesa di qualcosa

Che è sete di futuro. 

venerdì 3 giugno 2022

GIÙ PER IL SENTIERO DELLE VIOLETTE

Era alto e magro, quasi ossuto, ma con il viso sempre sorridente, quando veniva a trovarmi il pomeriggio alle 5 per portarmi la brioscina e farmi così fare una piacevole pausa dai compiti. 

A volte mi raccontava, a mo' di favola, qualche sua esperienza di guerra nelle retrovie del fronte orientale ai confini con l'Austria Ungheria. 

Faceva il messaggero portando missive con la bicicletta da un punto all'altro delle retrovie. 

Finita la guerra, superò poco dopo un concorso per le ferrovie dello stato e fu assunto come macchinista nella tratta Dittaino Piazza Armerina. 

Aveva frequentato la scuola fino alla sesta elementare ed era quindi in grado di scrivere e parlare correttamente. Memorabili i suoi racconti di storia vissuta ma che non collimavano molto con quello che io leggevo nei libri, per cui gli dicevo : " Ma nonno, non è così la storia, la maestra me l'ha detta in un altro modo". Comunque questi discorsi servivano da stimolo affinché io studiassi con sempre più passione. Bisogna dire che era stato proprio lui ad avviarmi ai primi rudimenti della scrittura quando, sopra il bancone del tabacchino che aveva acquistato dopo che aveva anticipato il pensionamento dalla ferrovia, mi insegnava le parole crociate di cui era appassionato esecutore o quando mi sfogliava le pagine della Domenica del Corriere insegnandomi a leggere prima che io frequentassi la scuola. 

Certe mattine di aprile, nelle belle giornate di primavera, mi portava per mano a scoprire le violette. 

Ci incamminavamo, sempre chiacchierando, giù per la strada che conduceva a Piazza Armerina finché, oltrepassate le cosiddette "grotte di Baldassarre", che in realtà sono delle tombe preistoriche (ma lui non lo sapeva), giungevamo al ponticello e da lì imboccavamo il sentiero delle violette che in realtà era una stradina sterrata che costeggiava la Sciumaredda, un torrente limpido che con la sua umidità consentiva una lussureggiante vegetazione tutt'intorno, e lì ci fermavano a cercare, fra le foglie che ricoprivano la scarpata sulla destra, le violette selvatiche che solo in quel punto pare sbocciassero. Non era facile farne un mazzolino da portare alla mamma o alla nonna, ma intanto eravamo felici di averle trovate.