domenica 20 giugno 2010

E' COMINCIATA A POMIGLIANO L'ERA DOPO CRISTO.

Così Marchionne ha definito quest'epoca, ciè quella della globalizzazione della finanza, delle merci e del lavoro.

La delinea chiaramente Eugenio Scalfari nel consueto editoriale domenicale su La Repubblica.

"E' un'epoca che ha accentuato e radicalizzato la legge dei vasi comunicanti":
 Le grandezze economiche, come ovviamente i liquidi, tendono a raggiungere lo stesso livello, e questo vale per i rendimenti del capitale, la produttività del lavoro e , ovviamente, i salari:
I salari dei paesi emergenti sono ancora molto bassi e dovranno aumentare, ma lo faranno molto lentamente.
Quelli dei paesi opulenti, invece, sono molto alti, ma tenderanno a diminuire e lo faranno molto più rapidamente per consentire alle imprese manifatturiere di vendere le loro merci sui mercati mondiali a prezzi competitivi.

In questo schema si inserisce la vicenda di Pomigliano: il trasferimento della produzione della Panda da una fabbrica dove i salari e le condizioni di lavoro sono più favorevoli al capitale investito (la Polonia) ad un'altra dove invece sono più sfavorevoli potrà farsi soltanto se le condizioni tenderanno a livellarsi, oppure non si farà.
E' questa la triste realtà della globalizzazione, non si tratta quindi di un ricatto ma di dati di fatto,continua Scalfari, e con i dati di fatto è inutile polemizzare.

Condivido queste posizioni perchè non vedo alternative.
Si dice da più parti: la colpa è del capitalismo ma, sistemi alternativi sono stati  sperimentati con esiti nefasti già nel Novecento e questa è la realtà con la quale oggi dobbiamo fare i conti. Siamo in un periodo di parssaggio: fino a che tutte le economie mondiali, come dice Scalfari, si saranno livellate, ci saranno molti squilibri.

"Chi pensa di fermare l'alta marea costruendo un muro che blocchi l'oceano non ha capito niente di quanto sta avvenendo nel mondo. Nello stesso modo non ha capito niente chi ritiene di bloccare la massa di migranti che abbandona i luoghi della povertà e preme per fare ingresso nei luoghi dell'opulenza. Quel tipo di muri può reggere qualche mese o qualche anno ma poi si sbriciolerà e il livellamento procederà".

Tuttavia Scalfari avanza qualche proposta per rendere meno traumatico questo processo di livellamento mondiale: Preso atto che questa è la tendenza, cominciamo ad attuare questo livellamento all'interno dei singoli paesi opulenti, procedendo ad una redistribuzione del reddito da chi più ha a chi meno ha.

Lo spostamento può avvenire in vari modi, manovrando soprattutto il fisco, (ma non solo), sgravando il peso fiscale sui redditi di lavoro dipendente e finanziando la redistribuzione con maggior carico tributario sulle rendite, sui patrimoni e sui consumi opulenti.

Un piano di questo genere non può essere considerato un progetto dettato dall'emergenza, perchè non di emergenza si tratta, bensì di un movimento , appunto, epocale.

Il presidente degli stati uniti Barak Obama ha ben capito la direzione verso cui si muove la nostra epoca ed ha lanciato un messaggio ai capi di stato europei affinchè abbandonino la politica di deflazione voluta dalla Germania, affiancando alla manovra di stabilizzazione una politica che sostenga i redditi .
Un secondo appello l'ha lanciato alla Cina, che ha risposto positivamente, affinchè proceda ad una rivalutazione della propria moneta per accrescere le importazioni.

Scalfari conclude dicendo che, su questi argomenti, mentre l'Europa sta assumendo delle posizioni "insensate", il governo italiano tace, preferendo dedicarsi all'articolo 41 della costituzione, con l'intenzione di abolire ogni regola non solo per quanto riguarda la libertà d'impresa, ma anche nel settore delle costruzioni e dell'urbanistica, in modo così di aggiungere scempio a scempio nel paese dell'abusivismo di massa.

Eguale critica Scalfari muove contro la proposta di Tremonti all'Unione Europea di valutare l'entità del debito pubblico sommandolo a quello privato.

martedì 15 giugno 2010

A PROPOSITO DI UNITA' D'ITALIA

Non so se qualcuno può essere d'accordo su quanto pubblicato da un mio concittadino alcuni anni fa:

Garibaldi l’antieroe

Written by: Carmelo Parrinelli on 4th August 2008

Un eroe può essere definito tale quando sacrifica la propria vita o la propria libertà al servizio degli altri, rischiando il più delle volte l’esistenza, per puro e superbo atto di altruismo.

Da più di un secolo questo ruolo di eroico indomito, leggendario condottiero dell’Unità d’Italia, è riconosciuto al nizzardo Giuseppe Garibaldi. Per molti è “l’eroe dei due Mondi”, esempio di autorevole patriottismo, attuatore della rinascita e di una nuova stagione politico-economica in tutto lo stivale.

Ma io, da buon siciliano e amante nel contempo della verità, condivido in pieno l’idea dei tanti cittadini del Sud, affranti da ciò che ha rappresentato davvero il sanguinario Garibaldi, nel Risorgimento e per i nostri ideali.

Non mi sento traditore, comunque, di questa patria italica, perché la rispetto e l’amo con sensibilità, e con coraggio la servo. Tuttavia non posso sopportare gli atti di oscurantismo perpetrati ai danni del nostro patrimonio culturale, che in maniera subdola e meschina, hanno contribuito ad infangare la memoria di intere popolazioni del meridione.

Se da una parte, il Presidente della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, vorrebbe “abbattere i simboli di un’impostura chiamata Unità d’Italia”, dall’altra la medesima rivendicazione viene avanzata dai rappresentanti attivi del Carroccio, movimento per l’autonomia della Padania.

Ciò che realmente accomuna la politica isolana a quella padana è un sentimento di riscoperta di quella verità, chiusa dalla oclocrazia vecchia di ben due secoli.

Se anche la Lega Nord, in quel della Pianura Padana (una delle zone che più ha tratto beneficio dall’Unità d’Italia), rivendica il privilegio di ignorare la storiografia italiana, perché noi siciliani, schiavizzati, non possiamo avvalerci del sacrosantissimo diritto di rivedere i libri, le piazze e le strade dedicate al sanguinario e mercenario “eroe”?

Questo è quello che si sarà detto il Sindaco della città di Capo D’Orlando, Enzo Sindoni, che ai molti protezionisti delle pagine propinateci da centocinquant’anni a questa parte, è sembrato uno scellerato attivista nonsense.

La verità è che ha rappresentato degnamente un senso di disgusto comune a tutti i cittadini meridionali, molti dei quali discendenti di contadini, armieri o semplici emigranti. La maggior di questi conosce la verità che in tanti disconoscono o non accettano; la visione di un Giuseppe Garibaldi antieroe, piuttosto che valoroso combattente per la causa di una Patria comune.

Per capire in modo significativo quanto noi “revisionisti” e “restauratori della verità”, andiamo dicendo da sempre, bisogna incentrare tutto il succo del discorso sulla povertà.

Nel 1861, l’erario del Regno delle Due Sicilie contava ben 443,2 milioni di lire; la Lombardia 8,1; il Ducato di Modena 0,4; Parma e Piacenza 1,2; Roma 35,3; Romagna-Marche e Umbria 55,3; l’Impero Sardopiemontese 27,0; Toscana 85,2 e Venezia 12,7 (questi dati provengono da Francesco Saverio Nitti, facoltà Scienze delle Finanze).

Sebbene tutta la penisola conoscesse già Garibaldi nelle vesti di schiavista (lo comprovano le sue scorribande in America Latina), viene comunque assoldato e condotto alla partenza con i suoi “Mille”.

Partono da Quarto (Genova) imbarcati sui piroscafi “Piemonte” e “Lombardo”, alla volta del Regno delle Due Sicilie. A Garibaldi era stata segretamente versata dal governo inglese e dal Piemonte l’immensa somma di tre milioni in piastre d’oro (molti milioni di dollari odierni), che sarebbe servita soltanto a corrompere i dignitari borbonici e pagare il loro tradimento.

Ma finita l’invasione, il Garibaldi acquistò con i soldi rubati dall’erario del Banco di Napoli, l’intera isola di Caprera, tanto che qualche anno più tardi egli si vide recapitare una lettera del direttore del suddetto istituto bancario, con la richiesta esplicita di restituzione della somma sottratta, volendo credere che questo fosse solo un prestito “mal chiesto”. Non restituì nulla. Il valoroso percepì anche un “contentino”, versatogli in parte dal Re Vittorio Emanuele II e in parte dagli Inglesi, per un totale di 3 milioni.

Entrata così a far parte del Regno d’Italia, la Sicilia, nel giro di pochi anni si vide spogliata dell’ingente patrimonio di quei Beni Ecclesiastici che fruttarono allo Stato 700 milioni del tempo, della riserva d’oro e d’argento del suo Banco di Sicilia, e vide portato il carico tributario a cinque volte piú del precedente.

Come accertò Giustino Fortunato, mentre per l’anno 1858 esso era stato di sole lire 40.781.750 per l’anno 1891, le sue sette province registrano un carico di lire 187.854.490,35. Si inasprirono inoltre i pesi sui consumi, sugli affari, sulle dogane, le tasse di successione (che prima non esistevano), quelle del Registro (che erano state fisse), quelle di bollo, per cui nel 1877 queste tasse erano già pervenute a 7 milioni e nel 1889-90 avevano raggiunto i 20 milioni.

La vendita del patrimonio dello Stato (ossia del demanio dell’ex Regno della Due Sicilie) impinguato dai beni dei soppressi Enti Religiosi e sommato alla vendita delle ferrovie, aveva fruttato allo Stato italiano oltre un miliardo, senza contare il capitale dei mobili, delle argenterie e tutta la rendita del debito pubblico, posseduta dalle Corporazioni religiose, che venne cancellata del tutto.

E non erano “beni della Chiesa di Roma”, ma frutto dell’accumulazione di famiglie siciliane investito sul “figlio prete”. Questa è solo una minima parte di quei danni che l’invasione scellerata dei Savoia produsse in tutto il Sud d’Italia. Chi è di Bronte o è nato a Regalbuto, ben conosce le storie di due grandi stragi comandate da Nino Bixio, tirapiedi di Garibaldi.

Le teste decapitate dai corpi mutilati, finite in gabbie per lo studio del noto medico Lombroso, con le sue stupide teorie del “Testa grossa? allora sei un assassino!” . La parola Mafia non esisteva; fu proprio dal brigantaggio dovuto alla guerra sardo piemontese che, incontrollati, diversi delinquenti si mischiarono alla povera gente, stanca delle false promesse delle camicie rosse.

L’invasione di uno Stato in pace senza dichiarazione di guerra, agevolata da fenomeni di corruzione e dalla connivenza della Massoneria. Questo fu lo sbarco. L’epopea dei Mille è nota in tutto il mondo. Mille uomini, e per di più ‘civili’, che conquistano un regno vecchio di oltre settecento anni. Un regno ricco, che vantava la seconda marina del continente dopo quella inglese e primati in ogni settore.

Per questi motivi, il 24 ottobre 2007, diedi il via alla raccolta firme online http://www.firmiamo.it/viagaribaldidaipaesi con l’intento di raggiungere la quota sufficiente per divulgare, presso i comuni e la Regione, delle interpellanze. Via Giuseppe Garibaldi e i suoi dalle nostre piazze, strade e paesi…

domenica 13 giugno 2010

SULLE SPALLE DI DIDEROT

Sulle spalle di Diderot, come ha detto in una recente intervista, Eugenio Scalfari si accinge a compiere il suo ultimo viaggio nella modernità, in quell'epoca che lui definisce tale e che coincide generalmente con le concezioni illuministiche e che già da almeno un secolo egli afferma sia sulla via del tramonto, per non dire anzi che è già morta sotto la spinta dei "nuovi barbari" che si aggirano tra noi e di cui quelli che sono cresciuti nella sua epoca e con quella mentalità hanno piena consapevolezza.

Ecco quanto afferma in un recente articolo sull'Espresso:

"Non era mai avvenuto finora che i contemporanei avvertissero la fine della civiltà in cui erano nati e cresciuti. La storia antica procedeva con un passo molto più lento di quanto ora non accada e le trasformazioni d'una cultura e di un assetto sociale avvenivano molto gradualmente. La decadenza e la fine della grande civiltà egiziana fu impercettibile agli egiziani dell'epoca. Altrettanto era avvenuto per la fine della civiltà cretese-minoica, anche se su quel periodo di storia lavoriamo più su congetture che su fatti documentabili. Siamo però certi che anche la fine della civiltà romana, che la periodizzazione ufficiale fissa con l'ingresso dei
Goti in Italia nel 476 a.C., avvenne nella completa inconsapevolezza sia dei Romani invasi che dei barbari invasori."

Forte di questa consapevolezza egli si avventura " Per l'alto mare aperto" ( che è il titolo del suo ultimo libro) dei pensatori illuministi, a cominciare da Diderot, appunto, che con le sue idee  e con la stesura e diffusione dell'Enciclopedia, diede avvio a quella che Scalfari, ma forse anche molti altri, definiscono "età moderna" e che, a suo avviso si è già conclusa con Nietzche, che rappresentò la sua massima espressione e nello stesso tempo le diede il colpo mortale.

E' un viaggio appassionante che , sotto forma di una specie di conte philosophique, illustra , con il suo solito stile chiaro e schietto, il pensiero dei grandi uomini che hanno inciso profondamente nelle vicende storico-culturali degli ultimi quattro secoli, dalla rivoluzione francese, al capitalismo, al marxismo.

Non mancano citazioni di letterati che Scalfari annovera fra i cosiddetti pensatori moderni, a cominciare da Leopardi, per finire a Montale e Calvino.

Ho letto questo libro tutto d'un fiato, com'è mio solito e, alla fine ho avuto la sensazione che proprio quell'epoca sia finita, sotto la spinta della tecnologia e di nuove forme di pensiero che stanno soppiantando le vecchie idee illuministiche . E non è detto,scrive Scalfari, che si tratti ancora di un progresso( almeno come lo intendevano gli illuministi appunto): l'età moderna è finita, ma quella che le si sostituisce non viene definita post moderna o contemporanea, ma "anti moderna".

Di quello che ci riserverà il futuro Scalfari non si pone il problema, ma è certo che le cose andranno in tutt'altra direzione che già da oggi è possibile intuire.

"I posteri sono già fra noi".Questa è la sua riflessione finale.

venerdì 11 giugno 2010

COSA CI RISERVA IL FUTURO?

Mi chiedo spesso cosa ci riserverà il futuro, forse perchè sono stata educata a vivere costantemente nell'attesa di quello che accadrà dopo o nel ricordo di quello che è successo e mai a godere del presente ( il carpe diem non mi è stato inculcato e per fortuna non è ancora troppo tardi per scoprirlo).

Per quarant'anni ho fatto l'insegnante e questo voleva dire preparare le future generazioni ad un futuro che necessariamente ci prefiguravamo.

Ora, che ho più tempo per riflettere, mi chiedo spesso quale sarà questo futuro e vi vedo un'inversione di rotta rispetto a quello che mi prefiguravo da giovane: credevo che il mondo un giorno sarebbe stato unito sotto un unico governo e che ci sarebbe stata finalmente la pace mondiale; credevo anche che questa pace sarebbe stata alla fine molto noiosa e che quindi gli uomini si sarebbero spinti alla ricerca di nuove conquiste, magari in altri mondi. Credevo che il modello occidentale avrebbe trionfato e che tutti i popoli alla fine si sarebbero evoluti al pari di noi. Credevo alla solidarietà internazionale.

Oggi vedo, come dicevo , un'inversione di tendenza (verso un nuovo tipo di feudalesimo? ).

Tornare indietro nella storia non si può : le conquiste della conoscenza umana non si possono cancellare ormai. Nuovi problemi sono emersi a causa della tecnologia, non ultimo quello dell'ambiente.

Ma la novità assoluta, quella che rappresenta una vera rivoluzione rispetto al passato, è l'avvento di internet: niente sarà più come prima e, nello stesso tempo sta avvenendo qualcosa che ci riporta in un certo senso al passato, all'epoca dei villaggi, solo che non si tratta più di villaggi reali, ma virtuali: ognuno costruisce la sua piccola comunità virtuale intorno a sè e questa comunità si nutre di una propria cultura, di un proprio modo di vedere le cose. Con Facebook si riscoprono antiche tradizioni, si rilanciano le iniziative del proprio territorio, si ritrovano vecchi amici che il destino ha portato lontano da noi territorialmente, ma che si avvicinano per condividere un sentire comune, come negli antichi villaggi:

Il villaggio globale di cui tanto si è parlato lo vedo frammentarsi in tanti piccoli villaggi virtuali, a loro modo chiusi dentro il recinto del comune sentire.

Oggi vedo affiorare una critica spietata contro la centralizzazione dei mezzi produttivi, le multinazionali, le catene dei fast food ed una rivalutazione dei prodotti locali, del biologico, dell'artigianato.

Una volta la parola d'ordine era Unione, oggi Autonomia.

Non riesco ancora ad immaginare come sarà il futuro, ma sono certa che il modo di produzione dell'energia che sceglieremo lo determinerà.

venerdì 4 giugno 2010

LA LEZIONE DI TOCQUEVILLE

L'analisi di Nadia Urbinati, apparsa oggi su Repubblica, evidenzia come ci sono principi che , già da due secoli, vengono ritenuti irrinunciabili e che purtroppo ancora oggi vengono messi in discussione.
Si tratta della libertà di stampa della quale, secondo Toqueville, non può esistere una via intermedia tra massima libertà e dispotismo.
Quello a cui aspira il premier, e la destra in genere, cioè di porre un limite alla libertà di stampa, facendo da setaccio delle informazioni a monte, è inammissibile, perchè, allorquando si mette in pratica una qualunque forma di censura, intanto non si capisce chi dev'essere deputato ad attuarla e secondo quale criterio. Costoro, sostiene la Urbinati, se non vogliono sottostare al giudizio imparziale dell'opinione pubblica, dovrebbero allora sottoporsi severamente a quello ben più impietoso della magistratura, che, infatti, è l'altro bersaglio del premier.
Si innescherebbe così un sistema di controlli tale a cui essi per primi non potrebbero sottrarsi. A meno che non si voglia restaurare l'assolutismo, cosa che al giorno d'oggi, con i mezzi tecnologici d'informazione che abbiamo, è una cosa decisamente impossibile.
Meglio quindi che la libertà di stampa sia assoluta, perchè, " una volta imboccata la strada della censura, un limite tira l'altro senza che si riesca a vederne la fine."

Per tutti questi motivi è secondo me importante che i filtri alle informazioni, anzichè provenire dall'alto, si dovrebbero creare fra i fruitori di queste informazioni stesse e inculcare in essi la capacità di saper discernere fra la miriade di notizie che ogni giorno la stampa e i mezzi di comunicazioni in genere , ci forniscono.

mercoledì 2 giugno 2010

AFORISMA N. 13

L'uomo ragionevole adatta se stesso al mondo, quello irragionevole insiste nel cercare di adattare il mondo a se stesso. Così il progresso dipende dagli uomini irragionevoli.



George Bernard Shaw