lunedì 27 dicembre 2010

DESAPARECIDA FOR KLIMT

Che fine ha fatto Paola?
Forse qualcuno di voi se lo sarà chiesto.
In realtà avevo quasi deciso di chiudere il blog ma poi...., vuoi per qualche vecchio amico nostalgico, vuoi perchè in fondo ne ho scritte di cose, e non vale proprio la pena perderle, e poi per tutti i vostri commenti, a cui sono tuttora affezionata.
 Ma è sopravvenuta un'altra passione, un'antica passione: la pittura.
E così mi sono iscritta al corso ed ho ripreso a dipingere.
Klimt è sempre stato uno dei miei pittori preferiti, così anche Kandinski.
In realtà, faccio qualcosa di molto diverso dallo stile di questi pittori, qualcosa di più personale: dipingo in stile impressionistico paesaggi dal vero dalla mia campagna.
Ultimamente, vista la stagione che poco ispira, mi sto dedicando un po' al nudo.
Quando avrò pronta una bella collezione, la pubblicherò anche su qyesto blog.
Saluti a tutti.
A presto.

sabato 23 ottobre 2010

IL VENTRE DEL PITONE

Ho letto questo romanzo del mio concittadino Enzo Barnabà e l'ho trovato estremamente interessante per le problematiche legate all'immigrazione, nonchè per comprendere i meccanismi che conducono i nostri simili ad abbandonare la loro terra d'origine per inseguire il sogno europeo.

La protagonosta è Cunegonda, nome che etimologicamente vuol dire " colei che difende la stirpe".

Si tratta di un romanzo di estrema attualità in un’epoca come la nostra di grandi trasformazioni culturali e di grandi migrazioni in cui il problema dell’integrazione è più che mai sentito e discusso e che ci riporta alle origini di questi spostamenti analizzandone con sagacia le cause anche e soprattutto psicologiche, dove l’uomo, rispetto alla donna, è visto piuttosto come un “compagno di viaggio”verso la realizzazione di sé come persona e come madre.


L’innata tendenza alla salvaguardia della stirpe ( e qui la scelta del nome della protagonista non poteva essere più azzeccata) spinge Cunegonda a cercare per il bambino che porta in grembo un mondo migliore, anche se , sia all’inizio che alla fine del libro,l’autore lascia al lettore la decisione di stabilire se questo mondo migliore sia veramente il nostro.

La lettura di questo libro ci pone davanti a tante riflessioni, non solo sulla realtà africana, che è bene conoscere se vogliamo vivere con serenità questo passaggio verso un mondo sempre più multietnico, ma su quella delle donne, di ogni tempo e luogo, sull’universo femminile che l’autore ha saputo abilmente esplorare e analizzare, concentrando l’attenzione su quella che è la caratteristica precipua della femminilità, cioè l’essere madre e come tale perpetuatrice della specie e protettrice di una natura che sempre più viene defraudata, profanata e stravolta dalla competitività umana.

Cunegonda, però, non è solo la protagonista della vicenda ma anche l’io narrante e, a trent’anni, decide di raccontare la sua storia, in un lungo flash-back.
Proprio la scelta stilistica dell’io narrante contribuisce a creare  l’impressione che si tratti proprio di un racconto autobiografico e non si pensa più all’autore, il quale ha avuto la grande capacità di identificarsi talmente con l’universo femminile da farci dimenticare che egli è in realtà un uomo.

Ciò che è doveroso sottolineare ,infatti, non è soltanto la conoscenza approfondita degli usi, della lingua, delle tradizioni e delle credenze, che fa ormai di Barnabà un attento ed esperto africanista, quanto la capacità e l’abilità con cui egli riesce a calarsi nei panni di una donna e ad esplorare un universo, quello femminile,tanto più che, appartenendo Cunegonda a una civiltà diversa, esso si presenta oscuro, misterioso e spesso in apparenza difficile da interpretare.

Difficile solo in apparenza , perché in realtà l’universo femminile presenta aspetti comuni alle donne di ogni civiltà, essendo questi quelli più istintivi e intrinseci alla stessa natura che le vuole portatrici di vita e quindi più propense all'accoglimento, all’altruismo, all’empatia, alla sensibilità,alla pazienza, alla compassione, alla collaborazione.

Quel femminile che rappresenta inoltre l'energia della vita e infatti, come la madre accoglie suo figlio e lo ama per come è, così la donna accoglie la vita e vi si offre, in un'esperienza quasi di abbandono.
Ma l’illusione di una vita migliore, più libera dalle avversità naturali, non solo per sé ma e soprattutto per il futuro del figlio che porta in grembo, oltre che la morte della madre che sancisce il definitivo distacco dal mondo originario , spinge la protagonista ad affrontare ogni sorta di peripezie sempre sorretta dalla speranza, quella speranza che noi occidentali, ormai sommersi da tutti gli oggetti che potevamo desiderare e apparentemente aperti ad ogni opportunità, forse non abbiamo più, non abbiamo più la molla che ci spinge ad affrontare la vita con il coraggio di cui Cunegonda ha dato prova in questo racconto, che vuol essere anche un documentario , la testimonianza di un mondo per noi tanto più difficile da comprendere quanto più la nostra vera natura è intrappolata in una serie di consuetudini ormai consolidate da secoli, come se fosse appunto racchiusa nel ventre di un pitone.

Sorretta dalla forza di questa speranza, ella affronta una vera e propria odissea che la porta, insieme a un occasionale compagno di viaggio, ad attraversare quasi tutta l’Africa nord-occidentale, come risulta dalla cartina geografica che insieme a un indispensabile e puntuale glossario Barnabà colloca alla fine del libro.

Cunegonda, infatti, si sposta dalla Costa d’Avorio, al Mali, dalla Guinea al Senegal, dalla Mauritania al Sahara occidentale, dal Marocco alla Tunisia dove finalmente, dopo due anni di violenze, umiliazioni e ricatti di vario genere, riesce a imbarcarsi su una nave diretta in Italia, con il bambino che nel frattempo aveva dato alla luce e che aveva corroborato e non indebolito la sua volontà di trasferirsi in Europa.

Il viaggio di Cunegonda ci catapulta in un mondo bizzarro e meraviglioso, affascinante e crudele che, a dispetto della colonizzazione prima e della globalizzazione poi, è riuscito miracolosamente a sopravvivere, ad autorganizzarsi, come dice giustamente nella sua acuta e approfondita prefazione Serge Latouche, il quale dichiara testualmente che “il mercato colonizza lo stato molto più di quanto lo stato non colonizzi il mercato” per cui anche in Africa tutto viene mercificato e monetizzato.

E proprio la prefazione di Latouche aggiunge un valore in più al libro, oltre al valore documentario con cui ci presenta alcune delle meno conosciute realtà africane, che ci induce a riflettere su aspetti ben più ampi dovuti alla globalizzazione e al modo in cui questa incide nei paesi del sud del mondo spopolandoli, anziché creare opportunità per un miglioramento delle loro condizioni di vita, nell’ambito del loro territorio e delle risorse che esso presenta e che invece li induce ad adeguarsi alla maniera di vita occidentale che non è forse la più consona alla realtà naturale di quei luoghi.

Nemico del consumismo e della razionalità strumentale, Latouche è  uno dei critici più acuti della ideologia universalista dalle connotazioni utilitariste dominata dal mercato che non è altro che una creazione ideologica occidentale, di un occidente che in nome della propria identità , pretende d'imporre un imperialismo culturale al resto del mondo.

 La lettura di questo romanzo scorre fluida e leggera, anche nei momenti più crudi e nelle situazioni più scabrose, e spesso ci si imbatte in proverbi popolari africani abilmente incastonati nel testo, come si può vedere da questi brevi passi che riporto esemplificativamente:
Scoprivo così che gli anziani sono i depositari delle conoscenze e che quello che loro riescono a vedere seduti, un giovane non lo vede neanche se si arrampica su un albero. Più tardi, sentii una frase che mi affascinò perché mi parve che la sua bellezza desse ulteriore forza alla verità che conteneva: «Quando muore un vecchio è come se bruciasse un’intera biblioteca».

Tre giorni dopo consegnavo a Ben i miei certificati di nascita e di nazionalità, necessari al rilascio del passaporto. Aspettando di entrare in possesso del documento, un proverbio venne a martellarmi ripetutamente la mente: «Per quanto tu corra, non riuscirai mai a sorpassare il tuo naso». Sperai con tutte le mie forze che questa volta la saggezza africana non dicesse il vero. Di frequente volgevo infatti lo sguardo dietro le spalle e avevo l’impressione che la mia esistenza, benché gremita di mille avvenimenti, fosse stata brevissima.

Qua e là, dei cespugli spinosi catturavano i sacchetti di plastica di cui era cosparso il suolo, tramutandoli in sarcastici simulacri di frutti. La calura era soffocante e il paesaggio abbagliante, senza chiaroscuri, cangiante secondo i capricci della sabbia e del vento. Era sorprendente non trovare più quell’umido velo sospeso nell’aria, quella sostanza immateriale che, dalle nostre parti, filtra e attutisce le immagini degli uomini e delle cose, invitandoci a rallentare i ritmi della vita.

lunedì 4 ottobre 2010

E' UNO SPETTACOLO IL TG DI EMILIO FEDE

In questi giorni in cui, per un guasto all'antenna, riesco a vedere solo rete quattro, mi diletto qualche pomeriggio a seguire il tg di Emilio Fede, facendomi anche qualche risata.

Se si ha voglia di immaginarsi un' Italia dove tutto va bene, le notizie positive sono di gran lunga superiori a quelle negative, dove si ha l'impressione di avere un governo stabile, con una maggioranza solida, destinato a governare tranquillamente per i prossimi tre o vent'anni, dove i problemi si esauriscono a qualche raro incidente sul lavoro o qualche alluvione che spazza via qualche macchina, qualche ragazza misteriosamente sparita con le indagini descritte minuziosamente come in un avvincente giallo, il tutto compensato da abbondanti notizie di gossip, basta collegarsi il pomeriggio su rete quattro.

La cosa più divertente sono le interviste all' "uomo della strada", in genere avvenenti ragazze o donne mature con gli anni portati benissimo, scelte puramente "casuali", in cui, guarda un po', tutti parlano bene di questo governo e si auspicano che duri il più a lungo possibile.

Quasi quasi non faccio più riparare l'antenna.....

giovedì 9 settembre 2010

NON MI VA PIU' DI USCIRE DI CASA

Si sta bene quì, in campagna, a godersi gli odori di settembre, l'aria più fresca, il vento tra gli alberi che qui, nella valle, crescono spontanei e ogni anno ne trovi una decina in più.
All'inizio è una lotta contro la natura ricavarsi degli spazi per muoversi, mettere le macchine, persino respirare.
Ma Settembre è il mese della rassegnazione: già quelli che ho fatto tagliare all'inizio di giugno stanno ricrescendo vigorosi. Accetto quest'invasione nell'attesa che, fra un paio di mesi, tutto si spoglierà e potrò finalmente vedere libere le colline intorno.
La battaglia ricomincerà a primavera.

venerdì 27 agosto 2010

LA FOLLIA CAPITALISTA

Quanto segue è tratto dal blog del prof. Vincenzo Cucinotta e lo ripropongo interamente sperando che ottenga la pià vasta diffusione.

OPPORSI ALLA FOLLIA CAPITALISTA


Mai come in questi ultimi mesi si sente il bisogno di una nuova radicalità in politica. Da una parte, la crisi economica spinge il mondo imprenditoriale verso una gara per una concorrenzialità crescente a livello globale, dall’altra cresce parallelamente l’intensità dei disastri ambientali. In quest’anno, abbiamo avuto almeno tre eventi davvero epocali, che ricordo brevemente. Il primo in ordine cronologico è costituito dal riversarsi di un’enorme quantità di greggio nel golfo del Messico, a causa di un incidente collegato a una trivellazione a grande profondità. Sono seguiti, praticamente in contemporanea, eventi meteorologici davvero senza precedenti, almeno da quando si abbiano dati di confronto. L’uno è costituito dall’anticiclone sulla Russia che ha causato temperature assolutamente inconsuete in quella regione, come pure una lunga siccità, e tutto questo risulta eccezionale soprattutto dal punto di vista della durata di queste condizioni. L’altro evento è costituito dalla quantità enorme di precipitazioni monsoniche in una vasta area che va dall’India alla Cina, passando per il Pakistan. In particolare, in questo paese, le precipitazioni hanno causato delle alluvioni che hanno coinvolto un’area vastissima del paese.

E’ evidente che qualcuno può declassare questi eventi fino a farli diventare degli episodi marginali, dovuti a condizioni contingenti. In verità, non può esistere alcuna possibilità obiettiva di collegarli alla politica, di fare cioè discendere questi disastri all’attività umana, così come socialmente organizzata. Nello stesso tempo, per le persone di buon senso è difficile credere a coincidenze particolari, dovute solo alla fatalità.

Insomma, qui si pone un problema enorme, che si può così riassumere. Il capitalismo globale impone una rincorsa verso una crescita sempre maggiore del PIL. La crisi crea una crescita della competizione, perché una domanda debole rende più difficile il piazzare la merce prodotta. La competizione a sua volta impone un aumento della produttività, per potere ridurre i costi. La conseguenza finale di questa logica è che si produce troppa merce, e la si produce con troppa poca gente. Andiamo quindi a una situazione di crescente sfruttamento delle risorse naturali, e nel contempo ciò avviene in presenza di sempre meno occupati. Il fatto è che anche aree del mondo in cui si era creata una legislazione del lavoro orientata al lavoratore, come tipicamente l’Europa, nella presente situazione si trovano di colpo a dovere sottostare a condizioni di lavoro sempre più gravose, con salari decrescenti, almeno in valore reale. Tutto ciò, come dicevo, avviene in un contesto che dovrebbe sconsigliare uno sfruttamento così esteso e sistematico delle risorse naturali per motivi di una gravità assoluta: la stessa possibilità di sopravvivenza dell’umanità.

Se sulla base di buoni motivi, i tre disastri ambientali che citavo, si ritiene che il paventato danno ecologico globale dovuto all’attività antropica abbia già raggiunto, proprio ai nostri giorni, il livello di guardia, e che cioè un perseverare in questa distruzione sistematica dell’ambiente all’unico scopo, in fondo sciocco, di circondarci di sempre più oggetti, allora opporsi al meccanismo perverso della competitività sempre più feroce e in realtà inutile non è soltanto ragionevole, ma addirittura un dovere morale, una capacità di opporsi alla follia collettiva per evitare la catastrofe all’umanità a cui apparteniamo.

Come si capisce, non sembra essere l’ora delle risposte articolate, della moderazione, ma è piuttosto il momento di schierarsi, di gridare ai propri simili che stiamo accelerando il treno che ci porterà verso un burrone da cui sarà impossibile salvarsi.

Ciò che allora dovremmo proporre è una società in cui ci sia lavoro per tutti, che le condizioni di lavoro siano umane, che l’orario di lavoro sia abbastanza ridotto da contenere la produzione totale di merci. E’ inutile nascondersi dietro un dito, ciò comporterà inevitabilmente un ridimensionamento dei consumi, una disponibilità ridotta di oggetti, ma siamo poi certi che questo costituisca un sacrificio, un peggioramento delle condizioni di vita, e non invece una vita più aderente a come siamo programmati naturalmente?

mercoledì 25 agosto 2010

ULTIMI SCAMPOLI DI VILLEGGIATURA

La cosa veramente mortifera è questa canicola agostana che ti impedisce di gustare appieno tutte le sfumature del meraviglioso e un po’ selvaggio paesaggio siciliano: è tutto come avvolto in una nebbia, una nebbia di luce abbagliante.
 O forse il nostro cervello è annebbiato, dallo stesso eccesso di luce.

venerdì 13 agosto 2010

SCOPELLO

Piccole case ammassate
di pescatori antichi.

Strette calette scoscese
nel verde
verso il blu.

Ciotoli bianchi di marmo
come perle spalmate
in un mare di smeraldo.

 E in fondo il golfo
di Castellammare.

martedì 10 agosto 2010

PAURA PAURA PAURA

Forse c'è troppa paura in giro.

giovedì 5 agosto 2010

COSì VINCO FACILE!

Ecco cosa pensa Vendola dell' ipotesi avanzata dal PD.

mercoledì 4 agosto 2010

EMOZIONI INTELLIGENTI

Come si sa, la vecchia contrapposizione tra razionalità e sentimento è stata abbandonata e adesso filosofi e studiosi stanno utilizzando l'affettività per rifondare la morale.
Appurata ormai la fragilità esistenziale di ognuno di noi, che sfugge il più delle volte ad ogni tentativo di analizzarla e comprenderla in termini puramente razionali, cade l'esigenza di postulare "imperativi categorici" o fare della ricerca dell'interesse individuale l'unico movente all'agire umano.
In realtà, tutto quello che facciamo, si tratti di un semplice gesto o di una serie di azioni, possiede una coloritura affettiva che sfugge ad ogni giustificazione razionale e che invece motiva la nostra attitudine morale.
La ragione , infatti, cerca sempre di contenere i nostri affetti, per evitare che sfuggano al nostro controllo, tuttavia pensieri ed emozioni non sono mai del tutto separati.
Come trovare allora un equilibrio tra i sentimenti,che spesso possono farci precipitare nell'irrazionalità più assoluta, e la ragione, che può dare certo una direzione coerente alla vita, ma rischia di interromperne il movimento e lo slancio?
Il regime capitalistico suggerisce agli individui dei comportamenti estremamente razionali che spingono a perseguire esclusivamente il proprio fine individuale, ma ci sono delle "ragioni" che ci agitano - anche quando vorremmo restare tranquilli ed evitare che un sentimento nato all'improvviso sconvolga i nostri progetti - e sono parte integrante della vita.
E permettono spesso di capire ciò che, nell' esistenza di ognuno di noi, ha veramente importanza.
Spesso sono i sentimenti che emergono quando si balbetta qualcosa o si inciampa, che lasciano intravedere quel barlume di verità che è in noi.
La capacità poi di riconoscere, direi in modo quasi riflesso, le stesse emozioni negli altri, cioè l'empatia, ci rende più consapevoli  e tolleranti non solo nei confronti delle debolezze altrui, ma anche  delle nostre.
E con questo non si vuole fare l'apologia dei buoni sentimenti, ma sostenere che, proprio attraverso i sentimenti si arriva non solo a capire l'estrema vulnerabilità della condizione umana, ma anche a promuovere e riabilitare il senso del vivere insieme.
In conclusione, le emozioni, quando se ne fa un uso intelligente, ci permettono di costruire una morale contestuale,che sia cioè in grado di tener conto della complessità e delle contraddizioni della vita quotidiana.

martedì 3 agosto 2010

PER VENDOLA LE ELEZIONI ANTICIPATE SONO UN FATTO DI IGIENE.

Così si è espresso Niki Vendola a chi gli chiedeva di elezioni anticipate.

mercoledì 28 luglio 2010

AFORISMA N. 15

« Ogni qualvolta una teoria ti sembra essere l’unica possibile, prendilo come un segno che non hai capito né la teoria né il problema che si intendeva risolvere. »


(Karl Popper, Conoscenza oggettiva: un punto di vista evoluzionistico.)

giovedì 22 luglio 2010

AFORISMA N. 14

"Chi siamo noi, nei confronti della Natura, per considerarci gli artefici della sua distruzione o, al più, della sua salvaguardia?"

mercoledì 14 luglio 2010

BREVI RIFLESSIONI SULLA CENSURA

Da un bell'articolo di Umberto Eco ho tratto le seguenti riflessioni sulla censura:
In un tempo molto antico, le idee scomparivano per semplice oblio naturale.
Successivamente sono intervenute le persecuzioni religiose che imponevano certe visioni del mondo e certe idee a discapito di altre.
In epoca staliniana tutti conosciamo le manipolazione delle foto d'epoca con alcuni volti scomparsi.
E che dire del fascismo di casa nostra che riscrisse addirittura i libri scolastici per adeguarli alla corrente ideologia e al culto dell'immagine del Duce.
Ora non c'è solo la legge Bavaglio - spiega Umberto Eco - anzi fa scuola l'informazione tipo Tg1, con una massa di informazioni irrilevanti che ci istupidisce.
Nella nostra democrazia, per quanto apparentemente vediamo e sentiamo tutto e siamo informati su tutto, si ha qualche problema di trasparenza e questo avviene perchè la vera censura della politica di oggi non è nasconderci le cose, ma raccontarcene troppe.
"Sono convinto che nell'epoca delle comunicazioni di massa, dove anche le vecchie forme di dittatura si trasformano in populismo mediatico, la censura tradizionale diventi sempre più inefficace.
Qualcuno ha detto che se ci fosse stata internet l'Olocausto non sarebbe stato possibile.....
In realtà anche in dittature  come quella fascista la censura impediva che certe notizie fossero date pubblicamente, ma non impediva che esse circolassero in modo clandestino - e sovente la notizia sussurrata aveva un impatto maggiore della notizia resa pubblica.....

In fondo, a pensarci bene, l'intera macchina televisiva, coi suoi grandi fratelli, le isole dei famosi, le pupe e i secchioni, i dibattiti politici dove non conta quel che viene detto ma la vis polemica dei partecipanti,....altro non è che un immenso apparato per censurare notizie importanti  che pure vengono date, ma nella disattenzione generale."

La vera censura è data dalla disattenzione generalizzata, dall'eccesso di cicaleccio in cui annegano le notizie importanti.

Ecco perchè io non ho partecipato alla manifestazione contro la legge bavaglio: perchè limitando il numero di informazioni che possono venir pubblicate, queste assumono di rimbalzo un'importanza tale che finalmente diventano degne di attenzione, e non essendoci più come una volta la mormorazione bocca-orecchio, oggi il sussurro prenderà la forma della mormorazione-blog, restituendo dignità a una forma elettronica di tam-tam.

AGGIUNTO ALLE ORE 18

Poco fa, mentre cercavo delle immagini sulle epurazioni staliniane, mi appare un'immagine di Norberto Bobbio. Incuriosita, clicco e mi appare tutta la storia di Forza Italia costellata da slogan anticomunisti, con sottofondo musicale del noto inno "meno male che Silvio c'è".

Che ci fa Norberto Bobbio con Silvio???!!!!!

domenica 11 luglio 2010

DIFFICILE DISCUTERE SUL NULLA

Come in questo post di Alessandro Gigloli ,che ogni tanto riesce a fare dei quadretti straordinariamente reali di certe situazioni italiane,e che vi consglio di leggere anche nei commenti, difficile dire qualcosa.
Il guaio è che non vedo all'orizzonte delle valide proposte alternative.

Alle prossime elezioni, se ci saranno, dovrò essere costretta a votare Fini? !!!!!!!!!

giovedì 8 luglio 2010

"Se il parlamento non ci approverà questa manovra, andremo a casa"

Speriamo che ciò avvenga presto, così ci leveremo dalle palle questa anomalia di una destra che ottiene il 62 per cento dei consensi al Sud e contemporaneamente mantiene una solida alleanza con la Lega Nord.

Si, è vero che i provvedimenti economici sono inevitabili, ma penso che una sinistra più consapevole potrebbe effettuare dei tagli più lungimiranti e non procedere a dei semplici tagli lineari che oltretutto penalizzano pesantemente i lavoratori dipendenti e specialmente gli statali.

Già, questi sono discorsi che tutti sappiamo (?) e che tutti ormai ripetono come una tiritera.

C'è poi il problema delle correnti che si sono venute a creare all'interno del PDL, che Berlusconi naturalmente avversa.

Ma, secondo me, le diverse vedute che si manifestano all'interno di un partito sono segno di vitalità e non di un appiattimento stagnante .
Certo c'è il problema che queste correnti si trasformino in bande intente alla lottizzazione del potere, per questo una attenta e libera informazione dovrebbe impedire che al potere ci vadano persone non degne, cioè non votate al servizio della collettività.

Quello delle correnti è un problema di articolazione fra il Tutto e le parti e la Democrazia consiste proprio nel mantenere questo difficile equilibrio fra disciplina e pluralismo. Senza il pluralismo, il partito diventerebbe una caserma e lo Stato un'azienda ( come all'inizio avrebbe voluto Berlusconi).

Certo , in una vera democrazia, le decisioni vengono prese più lentamente, proprio per lasciare il tempo alla discussione e non si procede a colpi di decreti, come è avvenuto finora . Ma per fortuna questa fase, con la caduta in disgrazia di Bertolaso, che era il braccio operativo di Berlusconi, sembra sia finita e la Democrazia riprende faticosamente la sua tortuosa strada.

giovedì 1 luglio 2010

SI CAMBIA!

Da lunedì ho cambiato vita: intanto mi sono trasferita nella casa di campagna, come ogni anno, ma c'è una novita': lavoro.
Tutte le mattine mi reco nella piattaforma ecologica della nostra azienda con il compito di cercare nuovi clienti che abbiano da conferire i rifiuti provenienti dalle loro lavorazioni.

La cosa mi diverte e mi interessa , perchè passo circa tre ore al giorno al telefono a parlare con i clienti, stilare e inviare preventivi e prendere appunti.
Era un'attivita' che mi mancava, visto che, nella mia vita, sono sempre uscita la mattina, prima per la scuola, poi per il lavoro d'insegnante.
Da quando sono andata in pensione, circa due anni fa, ho cercato di non fossilizzarmi nella vita da casalinga, che oltretutto non mi ha mai attratto, e ho cercato altri interessi e altri sfoghi, ma niente mi ha mai soddisfatto come il lavoro.
Si, è bello sentirsi liberi di alzarsi la mattina quando ti pare, uscire senza fretta, fare tutte le cose con calma, pensare solo ad attivita' ricreative. Ma il lavoro è lavoro, ed io forse sono andata via troppo presto dalla scuola, anche se mi premeva cedere il posto a chi non è stato fortunato come me ad averlo trovato subito.

domenica 20 giugno 2010

E' COMINCIATA A POMIGLIANO L'ERA DOPO CRISTO.

Così Marchionne ha definito quest'epoca, ciè quella della globalizzazione della finanza, delle merci e del lavoro.

La delinea chiaramente Eugenio Scalfari nel consueto editoriale domenicale su La Repubblica.

"E' un'epoca che ha accentuato e radicalizzato la legge dei vasi comunicanti":
 Le grandezze economiche, come ovviamente i liquidi, tendono a raggiungere lo stesso livello, e questo vale per i rendimenti del capitale, la produttività del lavoro e , ovviamente, i salari:
I salari dei paesi emergenti sono ancora molto bassi e dovranno aumentare, ma lo faranno molto lentamente.
Quelli dei paesi opulenti, invece, sono molto alti, ma tenderanno a diminuire e lo faranno molto più rapidamente per consentire alle imprese manifatturiere di vendere le loro merci sui mercati mondiali a prezzi competitivi.

In questo schema si inserisce la vicenda di Pomigliano: il trasferimento della produzione della Panda da una fabbrica dove i salari e le condizioni di lavoro sono più favorevoli al capitale investito (la Polonia) ad un'altra dove invece sono più sfavorevoli potrà farsi soltanto se le condizioni tenderanno a livellarsi, oppure non si farà.
E' questa la triste realtà della globalizzazione, non si tratta quindi di un ricatto ma di dati di fatto,continua Scalfari, e con i dati di fatto è inutile polemizzare.

Condivido queste posizioni perchè non vedo alternative.
Si dice da più parti: la colpa è del capitalismo ma, sistemi alternativi sono stati  sperimentati con esiti nefasti già nel Novecento e questa è la realtà con la quale oggi dobbiamo fare i conti. Siamo in un periodo di parssaggio: fino a che tutte le economie mondiali, come dice Scalfari, si saranno livellate, ci saranno molti squilibri.

"Chi pensa di fermare l'alta marea costruendo un muro che blocchi l'oceano non ha capito niente di quanto sta avvenendo nel mondo. Nello stesso modo non ha capito niente chi ritiene di bloccare la massa di migranti che abbandona i luoghi della povertà e preme per fare ingresso nei luoghi dell'opulenza. Quel tipo di muri può reggere qualche mese o qualche anno ma poi si sbriciolerà e il livellamento procederà".

Tuttavia Scalfari avanza qualche proposta per rendere meno traumatico questo processo di livellamento mondiale: Preso atto che questa è la tendenza, cominciamo ad attuare questo livellamento all'interno dei singoli paesi opulenti, procedendo ad una redistribuzione del reddito da chi più ha a chi meno ha.

Lo spostamento può avvenire in vari modi, manovrando soprattutto il fisco, (ma non solo), sgravando il peso fiscale sui redditi di lavoro dipendente e finanziando la redistribuzione con maggior carico tributario sulle rendite, sui patrimoni e sui consumi opulenti.

Un piano di questo genere non può essere considerato un progetto dettato dall'emergenza, perchè non di emergenza si tratta, bensì di un movimento , appunto, epocale.

Il presidente degli stati uniti Barak Obama ha ben capito la direzione verso cui si muove la nostra epoca ed ha lanciato un messaggio ai capi di stato europei affinchè abbandonino la politica di deflazione voluta dalla Germania, affiancando alla manovra di stabilizzazione una politica che sostenga i redditi .
Un secondo appello l'ha lanciato alla Cina, che ha risposto positivamente, affinchè proceda ad una rivalutazione della propria moneta per accrescere le importazioni.

Scalfari conclude dicendo che, su questi argomenti, mentre l'Europa sta assumendo delle posizioni "insensate", il governo italiano tace, preferendo dedicarsi all'articolo 41 della costituzione, con l'intenzione di abolire ogni regola non solo per quanto riguarda la libertà d'impresa, ma anche nel settore delle costruzioni e dell'urbanistica, in modo così di aggiungere scempio a scempio nel paese dell'abusivismo di massa.

Eguale critica Scalfari muove contro la proposta di Tremonti all'Unione Europea di valutare l'entità del debito pubblico sommandolo a quello privato.

martedì 15 giugno 2010

A PROPOSITO DI UNITA' D'ITALIA

Non so se qualcuno può essere d'accordo su quanto pubblicato da un mio concittadino alcuni anni fa:

Garibaldi l’antieroe

Written by: Carmelo Parrinelli on 4th August 2008

Un eroe può essere definito tale quando sacrifica la propria vita o la propria libertà al servizio degli altri, rischiando il più delle volte l’esistenza, per puro e superbo atto di altruismo.

Da più di un secolo questo ruolo di eroico indomito, leggendario condottiero dell’Unità d’Italia, è riconosciuto al nizzardo Giuseppe Garibaldi. Per molti è “l’eroe dei due Mondi”, esempio di autorevole patriottismo, attuatore della rinascita e di una nuova stagione politico-economica in tutto lo stivale.

Ma io, da buon siciliano e amante nel contempo della verità, condivido in pieno l’idea dei tanti cittadini del Sud, affranti da ciò che ha rappresentato davvero il sanguinario Garibaldi, nel Risorgimento e per i nostri ideali.

Non mi sento traditore, comunque, di questa patria italica, perché la rispetto e l’amo con sensibilità, e con coraggio la servo. Tuttavia non posso sopportare gli atti di oscurantismo perpetrati ai danni del nostro patrimonio culturale, che in maniera subdola e meschina, hanno contribuito ad infangare la memoria di intere popolazioni del meridione.

Se da una parte, il Presidente della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, vorrebbe “abbattere i simboli di un’impostura chiamata Unità d’Italia”, dall’altra la medesima rivendicazione viene avanzata dai rappresentanti attivi del Carroccio, movimento per l’autonomia della Padania.

Ciò che realmente accomuna la politica isolana a quella padana è un sentimento di riscoperta di quella verità, chiusa dalla oclocrazia vecchia di ben due secoli.

Se anche la Lega Nord, in quel della Pianura Padana (una delle zone che più ha tratto beneficio dall’Unità d’Italia), rivendica il privilegio di ignorare la storiografia italiana, perché noi siciliani, schiavizzati, non possiamo avvalerci del sacrosantissimo diritto di rivedere i libri, le piazze e le strade dedicate al sanguinario e mercenario “eroe”?

Questo è quello che si sarà detto il Sindaco della città di Capo D’Orlando, Enzo Sindoni, che ai molti protezionisti delle pagine propinateci da centocinquant’anni a questa parte, è sembrato uno scellerato attivista nonsense.

La verità è che ha rappresentato degnamente un senso di disgusto comune a tutti i cittadini meridionali, molti dei quali discendenti di contadini, armieri o semplici emigranti. La maggior di questi conosce la verità che in tanti disconoscono o non accettano; la visione di un Giuseppe Garibaldi antieroe, piuttosto che valoroso combattente per la causa di una Patria comune.

Per capire in modo significativo quanto noi “revisionisti” e “restauratori della verità”, andiamo dicendo da sempre, bisogna incentrare tutto il succo del discorso sulla povertà.

Nel 1861, l’erario del Regno delle Due Sicilie contava ben 443,2 milioni di lire; la Lombardia 8,1; il Ducato di Modena 0,4; Parma e Piacenza 1,2; Roma 35,3; Romagna-Marche e Umbria 55,3; l’Impero Sardopiemontese 27,0; Toscana 85,2 e Venezia 12,7 (questi dati provengono da Francesco Saverio Nitti, facoltà Scienze delle Finanze).

Sebbene tutta la penisola conoscesse già Garibaldi nelle vesti di schiavista (lo comprovano le sue scorribande in America Latina), viene comunque assoldato e condotto alla partenza con i suoi “Mille”.

Partono da Quarto (Genova) imbarcati sui piroscafi “Piemonte” e “Lombardo”, alla volta del Regno delle Due Sicilie. A Garibaldi era stata segretamente versata dal governo inglese e dal Piemonte l’immensa somma di tre milioni in piastre d’oro (molti milioni di dollari odierni), che sarebbe servita soltanto a corrompere i dignitari borbonici e pagare il loro tradimento.

Ma finita l’invasione, il Garibaldi acquistò con i soldi rubati dall’erario del Banco di Napoli, l’intera isola di Caprera, tanto che qualche anno più tardi egli si vide recapitare una lettera del direttore del suddetto istituto bancario, con la richiesta esplicita di restituzione della somma sottratta, volendo credere che questo fosse solo un prestito “mal chiesto”. Non restituì nulla. Il valoroso percepì anche un “contentino”, versatogli in parte dal Re Vittorio Emanuele II e in parte dagli Inglesi, per un totale di 3 milioni.

Entrata così a far parte del Regno d’Italia, la Sicilia, nel giro di pochi anni si vide spogliata dell’ingente patrimonio di quei Beni Ecclesiastici che fruttarono allo Stato 700 milioni del tempo, della riserva d’oro e d’argento del suo Banco di Sicilia, e vide portato il carico tributario a cinque volte piú del precedente.

Come accertò Giustino Fortunato, mentre per l’anno 1858 esso era stato di sole lire 40.781.750 per l’anno 1891, le sue sette province registrano un carico di lire 187.854.490,35. Si inasprirono inoltre i pesi sui consumi, sugli affari, sulle dogane, le tasse di successione (che prima non esistevano), quelle del Registro (che erano state fisse), quelle di bollo, per cui nel 1877 queste tasse erano già pervenute a 7 milioni e nel 1889-90 avevano raggiunto i 20 milioni.

La vendita del patrimonio dello Stato (ossia del demanio dell’ex Regno della Due Sicilie) impinguato dai beni dei soppressi Enti Religiosi e sommato alla vendita delle ferrovie, aveva fruttato allo Stato italiano oltre un miliardo, senza contare il capitale dei mobili, delle argenterie e tutta la rendita del debito pubblico, posseduta dalle Corporazioni religiose, che venne cancellata del tutto.

E non erano “beni della Chiesa di Roma”, ma frutto dell’accumulazione di famiglie siciliane investito sul “figlio prete”. Questa è solo una minima parte di quei danni che l’invasione scellerata dei Savoia produsse in tutto il Sud d’Italia. Chi è di Bronte o è nato a Regalbuto, ben conosce le storie di due grandi stragi comandate da Nino Bixio, tirapiedi di Garibaldi.

Le teste decapitate dai corpi mutilati, finite in gabbie per lo studio del noto medico Lombroso, con le sue stupide teorie del “Testa grossa? allora sei un assassino!” . La parola Mafia non esisteva; fu proprio dal brigantaggio dovuto alla guerra sardo piemontese che, incontrollati, diversi delinquenti si mischiarono alla povera gente, stanca delle false promesse delle camicie rosse.

L’invasione di uno Stato in pace senza dichiarazione di guerra, agevolata da fenomeni di corruzione e dalla connivenza della Massoneria. Questo fu lo sbarco. L’epopea dei Mille è nota in tutto il mondo. Mille uomini, e per di più ‘civili’, che conquistano un regno vecchio di oltre settecento anni. Un regno ricco, che vantava la seconda marina del continente dopo quella inglese e primati in ogni settore.

Per questi motivi, il 24 ottobre 2007, diedi il via alla raccolta firme online http://www.firmiamo.it/viagaribaldidaipaesi con l’intento di raggiungere la quota sufficiente per divulgare, presso i comuni e la Regione, delle interpellanze. Via Giuseppe Garibaldi e i suoi dalle nostre piazze, strade e paesi…

domenica 13 giugno 2010

SULLE SPALLE DI DIDEROT

Sulle spalle di Diderot, come ha detto in una recente intervista, Eugenio Scalfari si accinge a compiere il suo ultimo viaggio nella modernità, in quell'epoca che lui definisce tale e che coincide generalmente con le concezioni illuministiche e che già da almeno un secolo egli afferma sia sulla via del tramonto, per non dire anzi che è già morta sotto la spinta dei "nuovi barbari" che si aggirano tra noi e di cui quelli che sono cresciuti nella sua epoca e con quella mentalità hanno piena consapevolezza.

Ecco quanto afferma in un recente articolo sull'Espresso:

"Non era mai avvenuto finora che i contemporanei avvertissero la fine della civiltà in cui erano nati e cresciuti. La storia antica procedeva con un passo molto più lento di quanto ora non accada e le trasformazioni d'una cultura e di un assetto sociale avvenivano molto gradualmente. La decadenza e la fine della grande civiltà egiziana fu impercettibile agli egiziani dell'epoca. Altrettanto era avvenuto per la fine della civiltà cretese-minoica, anche se su quel periodo di storia lavoriamo più su congetture che su fatti documentabili. Siamo però certi che anche la fine della civiltà romana, che la periodizzazione ufficiale fissa con l'ingresso dei
Goti in Italia nel 476 a.C., avvenne nella completa inconsapevolezza sia dei Romani invasi che dei barbari invasori."

Forte di questa consapevolezza egli si avventura " Per l'alto mare aperto" ( che è il titolo del suo ultimo libro) dei pensatori illuministi, a cominciare da Diderot, appunto, che con le sue idee  e con la stesura e diffusione dell'Enciclopedia, diede avvio a quella che Scalfari, ma forse anche molti altri, definiscono "età moderna" e che, a suo avviso si è già conclusa con Nietzche, che rappresentò la sua massima espressione e nello stesso tempo le diede il colpo mortale.

E' un viaggio appassionante che , sotto forma di una specie di conte philosophique, illustra , con il suo solito stile chiaro e schietto, il pensiero dei grandi uomini che hanno inciso profondamente nelle vicende storico-culturali degli ultimi quattro secoli, dalla rivoluzione francese, al capitalismo, al marxismo.

Non mancano citazioni di letterati che Scalfari annovera fra i cosiddetti pensatori moderni, a cominciare da Leopardi, per finire a Montale e Calvino.

Ho letto questo libro tutto d'un fiato, com'è mio solito e, alla fine ho avuto la sensazione che proprio quell'epoca sia finita, sotto la spinta della tecnologia e di nuove forme di pensiero che stanno soppiantando le vecchie idee illuministiche . E non è detto,scrive Scalfari, che si tratti ancora di un progresso( almeno come lo intendevano gli illuministi appunto): l'età moderna è finita, ma quella che le si sostituisce non viene definita post moderna o contemporanea, ma "anti moderna".

Di quello che ci riserverà il futuro Scalfari non si pone il problema, ma è certo che le cose andranno in tutt'altra direzione che già da oggi è possibile intuire.

"I posteri sono già fra noi".Questa è la sua riflessione finale.

venerdì 11 giugno 2010

COSA CI RISERVA IL FUTURO?

Mi chiedo spesso cosa ci riserverà il futuro, forse perchè sono stata educata a vivere costantemente nell'attesa di quello che accadrà dopo o nel ricordo di quello che è successo e mai a godere del presente ( il carpe diem non mi è stato inculcato e per fortuna non è ancora troppo tardi per scoprirlo).

Per quarant'anni ho fatto l'insegnante e questo voleva dire preparare le future generazioni ad un futuro che necessariamente ci prefiguravamo.

Ora, che ho più tempo per riflettere, mi chiedo spesso quale sarà questo futuro e vi vedo un'inversione di rotta rispetto a quello che mi prefiguravo da giovane: credevo che il mondo un giorno sarebbe stato unito sotto un unico governo e che ci sarebbe stata finalmente la pace mondiale; credevo anche che questa pace sarebbe stata alla fine molto noiosa e che quindi gli uomini si sarebbero spinti alla ricerca di nuove conquiste, magari in altri mondi. Credevo che il modello occidentale avrebbe trionfato e che tutti i popoli alla fine si sarebbero evoluti al pari di noi. Credevo alla solidarietà internazionale.

Oggi vedo, come dicevo , un'inversione di tendenza (verso un nuovo tipo di feudalesimo? ).

Tornare indietro nella storia non si può : le conquiste della conoscenza umana non si possono cancellare ormai. Nuovi problemi sono emersi a causa della tecnologia, non ultimo quello dell'ambiente.

Ma la novità assoluta, quella che rappresenta una vera rivoluzione rispetto al passato, è l'avvento di internet: niente sarà più come prima e, nello stesso tempo sta avvenendo qualcosa che ci riporta in un certo senso al passato, all'epoca dei villaggi, solo che non si tratta più di villaggi reali, ma virtuali: ognuno costruisce la sua piccola comunità virtuale intorno a sè e questa comunità si nutre di una propria cultura, di un proprio modo di vedere le cose. Con Facebook si riscoprono antiche tradizioni, si rilanciano le iniziative del proprio territorio, si ritrovano vecchi amici che il destino ha portato lontano da noi territorialmente, ma che si avvicinano per condividere un sentire comune, come negli antichi villaggi:

Il villaggio globale di cui tanto si è parlato lo vedo frammentarsi in tanti piccoli villaggi virtuali, a loro modo chiusi dentro il recinto del comune sentire.

Oggi vedo affiorare una critica spietata contro la centralizzazione dei mezzi produttivi, le multinazionali, le catene dei fast food ed una rivalutazione dei prodotti locali, del biologico, dell'artigianato.

Una volta la parola d'ordine era Unione, oggi Autonomia.

Non riesco ancora ad immaginare come sarà il futuro, ma sono certa che il modo di produzione dell'energia che sceglieremo lo determinerà.

venerdì 4 giugno 2010

LA LEZIONE DI TOCQUEVILLE

L'analisi di Nadia Urbinati, apparsa oggi su Repubblica, evidenzia come ci sono principi che , già da due secoli, vengono ritenuti irrinunciabili e che purtroppo ancora oggi vengono messi in discussione.
Si tratta della libertà di stampa della quale, secondo Toqueville, non può esistere una via intermedia tra massima libertà e dispotismo.
Quello a cui aspira il premier, e la destra in genere, cioè di porre un limite alla libertà di stampa, facendo da setaccio delle informazioni a monte, è inammissibile, perchè, allorquando si mette in pratica una qualunque forma di censura, intanto non si capisce chi dev'essere deputato ad attuarla e secondo quale criterio. Costoro, sostiene la Urbinati, se non vogliono sottostare al giudizio imparziale dell'opinione pubblica, dovrebbero allora sottoporsi severamente a quello ben più impietoso della magistratura, che, infatti, è l'altro bersaglio del premier.
Si innescherebbe così un sistema di controlli tale a cui essi per primi non potrebbero sottrarsi. A meno che non si voglia restaurare l'assolutismo, cosa che al giorno d'oggi, con i mezzi tecnologici d'informazione che abbiamo, è una cosa decisamente impossibile.
Meglio quindi che la libertà di stampa sia assoluta, perchè, " una volta imboccata la strada della censura, un limite tira l'altro senza che si riesca a vederne la fine."

Per tutti questi motivi è secondo me importante che i filtri alle informazioni, anzichè provenire dall'alto, si dovrebbero creare fra i fruitori di queste informazioni stesse e inculcare in essi la capacità di saper discernere fra la miriade di notizie che ogni giorno la stampa e i mezzi di comunicazioni in genere , ci forniscono.

mercoledì 2 giugno 2010

AFORISMA N. 13

L'uomo ragionevole adatta se stesso al mondo, quello irragionevole insiste nel cercare di adattare il mondo a se stesso. Così il progresso dipende dagli uomini irragionevoli.



George Bernard Shaw

venerdì 28 maggio 2010

LA CIVILTA' DELL'EMPATIA

Jeremy Rifkin ha una teoria da far rizzare i capelli in testa. Per farla breve (ma non lo è: il libro che la illustra, La civiltà dell’empatia, è lungo 634 pagine), i modelli di creazione e distribuzione dell’energia e delle risorse sono fallimentari, e più in generale il modello capitalista come lo conosciamo è in crisi irreversibile. Se non cambiamo modello, ci estingueremo come specie: secondo Rifkin, il modello vincente è quello che si basa sull’empatia, la collaborazione fra esseri umani, la condivisione e la creazione di reti globali. Il tutto reso possibile dal modello Internet, che si basa largamente proprio su questi principi.

Secondo Rifkin, i nostri figli sapranno far meglio di noi, perchè il loro cervello lavora in modo diverso dal nostro, così come la nostra mente non è uguale a quella dei signorotti medioevali.

"Stiamo usando idee vecchie, totalmente inappropriate per affrontare il XXI secolo: Gli illuministi come John Locke e Adam Smith pensavano che l'uomo fosse competitivo, materialista, razionale.....Se fossimo davvero così saremmo finiti"
Invece:
"La scienza, la biologia evolutiva e in particolare la scoperta dei neuroni specchio ad opera di un'equipe di ricercatori di Parma, guidati da Giacomo Rizzolati, hanno rivelato che gli esseri umani non nascono con alcuna predisposizione a essere aggressivi, competitivi o egoisti. Tutt'altro, il nostro "software" biologico ci predispone ad essere empatici, a trascendere noi stessi, la nostra individualità, per provare il dolore degli altri e celebrare una comune gioia di vivere".

"Ogni volta che nuovi regimi energetici si incontrano con nuovi modi di comunicare, la civiltà e la coscienza fanno un salto in avanti.

La prima rivoluzione industriale è esplosa quando una nuova generazione è cresciuta con l' alfabetizzazione di massa....

Nel XX secolo, l'invenzione del telefono e poi di radio televisione e cinema s'è incontrata con l'era del petrolio e ha dato vita alla seconda rivoluzione industriale.
A ogni salto della storia, la coscienza si evolve e aumenta l'empatia"

"Nelle culture orali, l'empatia si limita alla famiglia e ai membri del villaggio. Chiunque fuori da esso è il nemico......La rivoluzione industriale crea una nuova finzxione, gli stati nazionali, e così nascono la coscienza ideologica e poi quella psicologica....
L'empatia è il collante sociale che permette a uomini sempre più individualisti di integrarsi in famiglie fittizie più estese".....

Oggi è in corso una terza rivoluzione industriale:

"da un lato c'è la potentissima rivoluzione di internet che, a differenza del sistema fondato su telefono e tv, è estremamente decentralizzata. Questo ha cambiato radicalmente il modo in cui il cervello è wired(collegato), come interagiscono i neuroni.
Dall'altro c'è l'energia distribuita....Carbone e petrolio sono fonti al tramonto.

E' tempo di una nuova rivoluzione industriale fondata su quattro pilastri:

1) Energie rinnovabili.

2)Ogni edificio diventa una piccola centrale energetica.

3) Investimenti nella ricerca sull'idrogeno, per stoccare l'energia così come immagazziniamo i dati sui supporti digitali.

4)Dobbiamo usare la stessa energia che ha creato internet per prendere l'energia prodotta in Italia, Germania o qualsiasi altro paese e inserirla in una rete comune.....

Per una generazione cresciuta a latte e internet sarà assolutamente naturale: ognuno diventa un piccolo imprenditore ma condivide ciò che produce. E' il CAPITALISMO DISTRIBUITO o SOCIALISMO COOPERATIVO.

La vecchia politica fondata sui concetti di destra e sinistra è morta...

La divisione non è più ideologica ma generazionale tra chi pensa in modo centralizzato, patriarcale, dall'alto in basso, e chi pensa in modo distribuito, open source, condiviso...."

E per chi vuole saperne di più sul pensiero di questo moderno economista, si legga il libro....

lunedì 24 maggio 2010

SCENARI EUROPEI

Leggo quasi sempre, la domenica, su Repubblica,il lungo editoriale di Eugenio Scalfari che settimanalmente racconta, in modo sintetico e chiaro, gli avvenimenti politici che hanno assunto maggiore rilievo nel corso della settimana.
Quello di ieri, dopo una prima introduzione rivolta alla situazione italiana, rivolge lo sguardo all'Europa, con i destini della quale non possiamo non sentirci collegati, data la crisi economica e lo spauracchio generato dalle recenti disavventure della Grecia.

La domanda che egli si pone, "Reggerà l'Europa?", apre scenari inquietanti, che vedono L'unione europea in serio pericolo e la necessità di operare delle scelte rapide da parte dei goveri ad essa aderenti, ed in particolare di quello italiano (L'articolo si conclude con un appello a Tremonti).

Le soluzioni che egli intravede in questo periodo di grave crisi in cui l'Europa più che mai si manifesta per quello che è, cioè una entità anomala dove esiste una Banca centrale europea che è l'unica a non essere supportata da uno Stato che le stia alle spalle, sono due:

1)Fare diventare rapidamente l'Unione "uno Stato, con un suo bilancio, una fiscalità,un Parlamento con candidature europee anzichè nazionali, una sua politica estera, una difesa comune."

2)"L'altra strada, egli dice, è quella proposta dalla Germania: invece di una cessione di sovranità dagli Stati all'Unione, una delega ai paesi più forti per governare l'economia e la finanza dell'intera Unione."

Ma,a parte i malcontenti che questa proposta suscita nelle varie nazionalità, non si può non intravvedere che in realtà " si tratta di un'egemonia tedesca sull'Europa, sia pure con un diritto di veto della Francia e gli altri a reggere la candela."

I timori a questo punto nascono dall'associazione con gli scenari catastrofici che,nel secolo passato hanno visto come protagonista proprio la Germania e che si sono conclusi con uno spaventoso genocidio.

"La Germania, è vero, possiede a sua volta un'arma deterrente potentissima: se non si raggiungesse un accordo che la soddisfi, potrebbe decidere di uscire dall'euro e tornare al marco. Si assumerebbe la responsabilità- per la terza volta in un secolo- d'aver ucciso l'Europa e di avere al tempo stesso suicidato se stessa."

A questo punto, se le spinte disgregatrici dovessero avere il sopravvento, egli intravede una nuova barbarie impadronirsi dell'intera civiltà occidentale che si disgregherebbe in un "arcipelago gravido di contraddizioni tra deboli e debolissimi...rafforzando soltanto le criminalità organizzate e consegnando un immenso mercato alle bocche voraci dei poteri forti mondiali."

Sebbene questi scenari apocalittici siano da considerarso per il momento fuori dalle previsioni, egli ritiene opportuno che siano tenuti presenti, ammonendo che non è più tempo di occuparsi soltanto dell'utile proprio e della propia "casta" di appartenenza.

domenica 16 maggio 2010

L'esigenza di un'ideologia laica

Mi chiedo se sia possibile un'ideologia laica, perchè, sgombrando il campo dai vari significati che la parola ha assunto nell'epoca corrente, come recita Wikipedia:"il termine laico nell'accezione moderna ha significato di "aconfessionale", ossia di slegato da qualsiasi autorità ecclesiastica e da qualsiasi confessione religiosa." Siamo d'accordo, ma nella sua accezione originale, il termine viene usato nel contesto di professioni specializzate per riferirsi a chi non pratica la stessa professione. Laico è, ad esempio. un membro del Consiglio Superiore della Magistratura che non appartiene all'ordine dei magistrati

Negli ultimi anni il termine laico viene invece utilizzato in maniera impropria per indicare un generico agnostico o ateo. Tale uso è semanticamente scorretto, in quanto laico ha significato di svincolo dall'autorità ecclesiastica, ma non inficia la professione di una particolare confessione religiosa: per cui si possono distinguere laici credenti da laici non credenti.

L'abuso del termine in sede politica, in funzione di sinonimo perfettamente sovrapponibile ad anticlericale o ateo, ha generato l'utilizzo del termine spregiativo laicista, con un significato simile e opposto all'uso del termine spregiativo clericale, per indicare persone che si autodefiniscono "laiche" e si comportano come anticlericali. L'uso del termine è errato poiché si tratta di una estensione di un termine, laico, che già rappresenta l'estensione del termine λαός, laós - popolo.


Nel linguaggio politico il laico è chi propende per una netta separazione della vita delle istituzioni dall'influenza delle confessioni religiose, ossia per indicare chi si ispira ai valori della laicità. Per estensione laico è anche chi desidera una minore influenza delle confessioni religiose nella società.

Laico è anche una persona priva di pregiudizi. Ragionare laicamente è un espressione usata per indicare un ragionamento che non parte da presupposti aprioristici e non sfocia in prese di posizione immodificabili.

Ed ecco quindi che il termine laico risulta in contrapposizione a qualunque ideologia perchè, proprio in quanto "Ragionare laicamente è un espressione usata per indicare un ragionamento che non parte da presupposti aprioristici e non sfocia in prese di posizione immodificabili",ecco che qui già si esclude a priori la possibilità di ragionare secondo presupposti immodificabili, cioè ideologici.

Un'ideologia laica è quindi un controsenso, perchè "laico" significa appunto una mentalità capace di inglobare in sè tutte le idee, le prese di posizioni e i punti di vista, compreso naturalmente quello cattolico.

Ma propio quì nasce il problema, perchè, in questo modo, si genera una così grande confusione di idee e di propositi, che la nascita di una nuova ideologia, per quanto non confessionale, si impone come esigenza di unificazione, di ordine e di conformità dei comportamenti, senza la quale si degenera nella più totale anarchia, sia politica che comportamentale.

D'altro canto , un'ideologia laica non può prescindere da una visione ottimistica dell'uomo, in quanto, proprio in questa anarchia si ravvisa la possibilità che le cose si sistemino da sole, seguendo il naturale istinto alla pace e alla corretta convivenza degli esseri umani.

Era un'ideologia laica l'illuminismo, che però, come tutti gli ismi è degenerato in nuove ideologie totalizzanti che prescindono dal presupposto della razionalità umana postulato all'inizio.

Un'ideologia laica è secondo me inconcepibile, proprio perchè, come ho cercato di spiegare, la parola ideologia e la parola laico si escludono a vicenda.

D'altra parte, se l'esigenza di un'ideologia, chiamiamola anticonfessionale, è così sentita, essa non può che basarsi su dei presupposti che stabiliscono cos'è bene e cos'è male, non su quanto indicato dalle varie confessioni religiose, ma su altri principi che si possono ricondurre all'essenza della natura umana; ma siccome gli uomini non sono tutti uguali, ecco che quest'essenza, per quanto i filosofi da secoli ci ragionino su, non è di per sè distinguibile e dev'essere pertanto imposta dall'alto come modo di vedere di poche persone che raggiungono il consenso attraverso varie strategie, il che viene naturalmente in contraddizione con il concetto di libertà tanto conclamato.

Un'ideologia, poi, così come una religione,ha bisogno di "luoghi di culto" che , nelle religioni si possono ravvisare nei templi e nelle chiese e, nelle cosiddette ideologie laiche, nelle sedi di partito.

Oggi si tende a non considerare più luoghi di culto nè le une nè gli altri.

Quali sono allora i luoghi di culto di cui credo che l'umanità abbia assolutamente bisogno, pena la perdita della propria identità?

Temo proprio che oggi essi si possano ravvisare nei centri commerciali
che proliferano incessantemente e sono tutti sempre assiduamente frequentati dalla gente che in essi trova un luogo di identificazione e di conformità con gli altri.

L'ideologia che si sottende a tali "luoghi di culto" è chiara: il consumismo,il denaro, per dirla alla Marx, " il feticismo delle merci".

Per concludere, penso che il termine "ideologia", non sia molto dissimile da quello di "religione": essa consiste in qualcosa in cui credere aprioristicamente. Purnondimeno, penso che di essa ci sia bisogno.

Pubblico senza rileggere.

martedì 11 maggio 2010

C'ERANO UNA VOLTA I PARTITI

Una volta i partiti erano veri, radicati sul territorio, formati da militanti per la maggior parte competenti ed esperienti, sostenuti da una precisa ideologia che si battevano per portare avanti coinvolgendo emotivamente gli altri, con vero spirito di gruppo.

Nessuno può sottovalutare il ruolo prezioso svolto, allora , dai partiti, specie da quelli di massa, come canali di rappresentanza, ma anche come scuole per l’alfabetizzazione politica (qualche volta, specie nel Sud, anche per l’alfabetizzazione senza aggettivi), come palestra democratica per la selezione di una nuova classe dirigente.

Oggi le leadership tendono a esprimersi in forma carismatica e individualistica; una grande parte della popolazione tende a mobilitarsi – temporaneamente e su singoli obiettivi o problemi – ma sceglie per farlo modalità organizzative lontane dal modello tradizionale dei partiti.

Infine interi settori che prima riconoscevano al sistema dei partiti politici un diritto di rappresentanza tendono oggi ad autorappresentarsi, anche attraverso diverse forme di accesso alla platea politica.

Oggi tutto è più veloce, non ci sono più i ragazzi che vestono in un certo modo, non ci sono più scontri idealistici. Oggi ci sono i circoli, le fondazioni, i blog, e ci sono i nuovi movimenti molto personalizzati.

Ho nostalgia di quel periodo, dell’epoca in cui pochissimi candidati potevano permettersi il lusso di farsi stampare i volantini elettorali; tutti gli altri, armati di carta e penna ti presentavano la “combinazione vincente” con quattro numeri da votare. Adesso si può votare un solo candidato (o addirittura nemmeno uno! L’eletto viene scelto dal partito: evviva la democrazia!!).

Oggi tutto è cambiato.

Oggi esiste la destra che come in passato tutela gli interessi di pochi e la sinistra che si accontenta di occupare piccoli spazi di potere rassicurando i conservatori e facendo qualche lagna rituale per la vita difficile di tanti.
Ma molti dicono che non ha più senso parlare di destra e di sinistra.

Oggi, però, è ancora presente un’ideologia reazionaria di destra,soprattutto leghista, ma soprattutto dilaga un torrente di stupidità in TV, nei giornali e anche nel web, che disgusta le persone pensanti e affascina le persone culturalmente più deboli lasciate a se stesse da una sinistra che ha rinunciato a qualsiasi impegno ideale, culturale, critico nei confronti del potere costituito .

Quelle che erano “le masse popolari” (scalpitanti) sono in buona parte diventate “masse addormentate”, cioè rassegnate.

La sinistra annoia a morte, non è seria né appassionante.

Il cittadino,isolato dagli altri, , stanco e frustrato, si “rilassa” ,osservando ciò che fanno gli altri, quelli finti, quelli lustrati a nuovo dai maghi della comunicazione di massa, quelli che ridono sempre o che parlano solo per parlare. Quelli che parlano e agiscono con facilità in una scatola che lo spettatore con altrettanta facilità può telecomandare tra uno spot e l’altro, senza decidere nulla, senza capire nulla, senza sognare nulla, restando “in pausa”. Restando imprigionato in una rete di pause.
Pause dalle angosce non risolte, pause dalle frustrazioni lavorative, pause dalla fatica di stare con gli altri. Pause che rendono non vissuto il tempo personale e che rendono le persone vulnerabili a idee semplici, come la rabbia verso “gli altri”, verso quelli che non sono personaggi televisivi ma persone reali, rabbia verso le soluzioni complesse a problemi complessi. e fame. Tanta fame di soluzioni semplici, di colpe da dare, di sicurezze da catturare con piccoli gesti e con la sottomissione a chi raccoglie l’essenza della stupidità di tante vite non vissute e la propone come una via d’uscita dalla noia, dopo aver venduto noia sotto le sembianze del divertimento.
La gente ci casca perché vuole sentire, pensare, agire poco.

martedì 27 aprile 2010

DISUNITA'

Le celebrazioni dell'Unità d'Italia, a quanto pare,non convincono più quasi nessuno:Ciampi, si è ritirato dal comitato per le celebrazioni ufficiali e, a quanto pare, anche Dacia Maraini e molti altri.
Da più parti si leva la voce che quella di Garibaldi fu una conquista forzata, addirittura contro la volontà degli Italiani, pardon, del popolo del sud.

Chi ha letto il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa comprende che, almeno nelle classi nobili di un tempo, accettare l'unità significò far buon viso a cattivo gioco e, tutto sommato, si sfruttò la nuova situazione a vantaggio della propria classe aristocratica, come testimonia l'episodio di Tancredi che divenne dapprima garibaldino, poi politico del nuovo regno, ammantando il proprio operato volto alla conservazione del vecchi privilegi, come un'azione rivoluzionaria che avrebbe favorito le classi meno abbienti che, come sempre, si affidano ai sogni, per alimentare le proprie speranze di una vita migliore.

Quello che ne seguì, il brigantaggio per la storia ufficiale, nella moderna storiografia viene letto come una gigantesca repressione politica dei dissensi sollevatisi contro quest'unificazione forzata.

Ieri sera, durante la trasmissione di Gad Lerner su La7, ho ascoltato, fra gli altri, un intervento dello scrittore siciliano Andrea Camilleri, il quale sosteneva che quello che sta avvenendo nel nostro paese( cioè la disgregazione voluta dalla lega) è un'anomalia, in quanto la tendenza naturale è quella di unificare, mentre oggi si sta procedendo a passo di gambero e questo porterà la disgregazione.

Già ,unificare: è stata sempre un'idea che ci hanno inculcato fin da piccoli: l'unione fa la forza, l'Italia unita, l'Europa Unita, il Mondo, unito. Ma, evidentemente, questa idea di unificare è solo un sogno, un'utopia, come quella comunista che oggi è miseramente fallita, quella di tendere a realizzare sulla terra una specie di paradiso dove tutti sono uniti e solidali e dappertutto regna la pace e l'amore, il tentativo di ritornare all'originario Eden.

Ma questo concetto, a ben vedere, è forse contro natura: la diversificazione dei territori e degli esseri umani che li abitano è tale che un governo centralizzato è di per sè impossibile, come venne ritenuto impossibile da Carlo Magno che, per assolvere al compito gravoso di governare un così vasto impero,si inventò il feudalesimo.

E poichè, secondo me, in qualche misura la storia si ripete, mi pare che stiamo ritornando ad una sorta di nuovo feudalesimo.
Ho detto una bestemmia?

mercoledì 14 aprile 2010

A TORINO PER LA SINDONE

Quella di visitare la Sindone è una buona occasione per vedere a Torino l'esplosione della primavera, con le sue magnolie fiorite al massimo dello splendore, le forsizie di un giallo smagliante, i ciliegi in fiore e le anatre che si rincorrono sul Po.


mercoledì 7 aprile 2010

AFORISMA N. 12

"Quando faccio una cosa buona, non lo faccio guardando Dio, per meritarmi la grazia di Dio, ma lo faccio perché altrimenti non riuscirei a guardarmi allo specchio.

L'atto morale per definizione è un premio di per sé."


( Slavoj Zizek, filosofo sloveno)

martedì 6 aprile 2010

NON CI INTERESSIAMO PIù DI POLITICA INTERNAZIONALE.

Tutti presi ormai dalle notizie riguardanti gli affari interni del nostro paese ( solo la facciata, per la verità), abbiamo smesso di interessarci delle questioni di interesse fondamentale per l'umanità , che solo vent'anni fa erano sulle prime pagine dei giornali e catalizzavano l'interesse della maggior parte della popolazione .
Sarà perchè le buone notizie non fanno più notizia.

lunedì 5 aprile 2010

PAESAGGI DI SICILIA 2


Oggi è stata proprio una bellissima giornata


 E anche il panorama non era male

domenica 4 aprile 2010

AFORISMA N.11

"Le risposte rendono saggi, ma le domande rendono umani"

sabato 3 aprile 2010

VENERDI' SANTO A ENNA

L'immagine non dà l'idea dell'imponente processione che si svolge la sera del venerdì santo ad Enna.

giovedì 1 aprile 2010

EUREKA

Ho trovato finalmente l'articolo di Mario Pirani ,apparso su Repubblica del 29 marzo 2010, cui ho fatto riferimento nel precedente post.

mercoledì 31 marzo 2010

LA RISCOPERTA DELLA TV

Dopo anni in cui ho avuto a noia la televisione, mi accorgo che mi sono persa qualcosa.
Certo bisogna spulciare un po' ed evitare di concentrare l'ascolto solo nelle ore clou della giornata, giocare di telecomando e , di tanto in tanto farsi aiutare da qualche guida ai programmi, come ce ne sono tanti in tutti i giornali.
Per il momento, il canale televisivo che seguo più frequentemente è RAI3.
Mi piacciono TG3 NOTTE e le due rubrichette (una scientifica e l'altra tecnologica) che trasmettono alle tre di pomeriggio, non solo perchè durano poco, ma anche perchè danno le notizie "nude e crude", non corredate cioè da opinioni. Ieri le ho trovate particolarmente interessanti, ma oggi, su NEAPOLIS hanno trasmesso una notizia che mi inquieta un po' e su cui avevo letto, alcuni giorni fa un commento di Mario Pirani( di cui volevo dare il link, che non ho trovato), che confermava i miei dubbi in proposito.
Si tratta della diffusione della cosiddetta Università on line.
Quello che penso io è che, fin quando la tecnologia ci consente di abbreviare i tempi di attesa, avere un colloquio diretto col professore, conoscere la data degli esami senza doversi spostare ogni volta nella sede universitaria, risparmiando così del tempo prezioso da dedicare allo studio, tutto va bene.
Ma oggi sembra che si voglia sostituire ai corsi di laurea tradizionali dei corsi virtuali che ti consentono ugualmente di conseguire la laurea ( e tutti gli esami che conducono ad essa), senza neanche uscire di casa, senza cioè neanche avere avuto modo di vedere i professori in faccia.
Tutto questo, oltre ad essere antieducativo,mi sembra giochi a favore di uno scadimento generale della preparazione universitaria, che non è fatta solo di nozioni apprese, ma di tutto un diverso modo di rapportarsi con l'ambiente universitario in sé.

NON SO COME FUNZIONA LA DICITURA "LINK A QUESTO POST"

Comunque ci provo.

http://www.genteepersone.it/2010/02/mobbing-vs-lavaggio-del-cervello.html#links

Qualcuno ha detto che, avendo smesso di pensare, non ci resta che condividere quello che pensano gli altri.
D'altra parte, se ognuno di noi cercasse ad ogni costo di essere originale, sarebbe ben difficile comunicare, aggregarsi, fare a micizia, socializzare, ecc. ecc. ecc.

DOVE VORREI ESSERE IN QUESTO MOMENTO

In questi giorni sto pubblicando alcune foto perchè mi sono accorta che ci sono problemi con le immagini sulla piattaforma blogger: le immagini dei post non compaiono nella home page.
Succede anche a voi?

martedì 30 marzo 2010

LO VEDREMO COSì ANCORA PER POCO

E' bello l'Etna innevato sotto il sole di primavera!

venerdì 26 marzo 2010

IL SOLE

E' un grande sfavillìo
Dentro
E fuori di me.

La pelle
Si rincuora
E l’anima
Risplende.

Le luci ed i colori
Sprigionano allegria
E nell’oblio scompare
Ogni malinconia

Che il vespero mi dà.



AFORISMA N.10

Per trovare il tempo, bisogna perderlo.
(P.D.)

AFORISMA N.9

                                        

" Il modo migliore per realizzare un sogno è quello di svegliarsi"

(Paul Valéry)

mercoledì 24 marzo 2010

COME USARE BENE IL CERVELLO

Il cervello, questo sconosciuto. Eppure esso costituisce la cabina di pilotaggio del nostro corpo!

E' risaputo che noi non sfruttiamo al massimo le potenzialità che esso ci offre, e ciò a causa della scarsa conoscenza che abbiamo di esso.

 Per fortuna gli studiosi del settore ci dispensano informazioni sempre più dettagliate sul suo funzionamento, come ha fatto ad esempio John Medina, biologo molecolare dell'università di Washington, che nel suo libro "Il cervello: istruzioni per l'uso", ci insegna che sfruttare al meglio il cervello significa anche sapere come è meglio insegnare e apprendere e che in questo gioca un  ruolo centrale l'attenzione.

"Dopo i primi dieci minuti di una lezione o di una presentazione, il cervello stacca la spina" avverte Medina.
"E' una tendenza naturale- continua- ma che si può combattere sapendo che il cervello elabora meglio gli stimoli carichi di contenuto emotivo." E ci spiega anche come e perchè avviene questo, cioè quali zone del cervello vengono attivate e in qual modo.Per un insegnante può essere dunque importante sapere che ogni dieci minuti deve interrompere il suo monologo inserendo per esempio un aneddoto che susciti emozioni come il riso, l'incredulità o la paura.

A questo punto, la cosa migliore da fare sarebbe acquistare il libro e leggerlo. Ma ci possiamo accontentare per ora di alcuni piccoli suggerimenti , per esempio che bisogna il più possibile evitare di fare più cose contemporaneamente, in quanto si perde più del doppio del tempo con maggiore rischio di errore.

Ma ecco sette regolette che noi tutti possiamo facilmente mettere in pratica:

1- L'esercizio fisico potenzia il cervello perchè stimola i neurotrasmettitori e alimenta l'ippocampo, che consolida la memoria.
2-Un sonnellino di 25 minuti migliora del 34% le performance del cervello.
3-Un senso di controllo sul mondo esterno aiuta il cervello ( ad esempio: la stabilità emozionale della famiglia è il miglior predittore di successo scolastico dei bambini).
4-Più un dato è visivo, più verrà ricordato ( se un'informazione orale è percepita da sola, dopo 72 ore ne rimane soltanto il 10%, se è associata a una figura, ne ricordiamo il 65%).
5-Se si coinvolgono i sensi, si ricorda di più ( vengono privilegiate le esperienze multisensoriali)
6-I cervelli non maturano tutti in tempi uguali ( se un bambiono a sei anni non sa ancora leggere, non è detto che abbia un deficit cognitivo).

Per concludere, meglio leggere il libro.

martedì 23 marzo 2010

L'ITALIA E' UNA REPUBBLICA DEMOCRATICA FONDATA SUL.....MERITO

Così il ministro Brunetta vorrebbe riscrivere l'articolo primo della nostra Costituzione.
Al che il giurista Gustavo Zagrebelsky ha obiettato: "sostituire il "lavoro" con "merito" o "competizione" significa volersi eporre a quell'ideologia terribile che è il darwinismo sociale"

Quando , nel '48 , fu scritta la nostra Costituzione, si cercò di trovare un terreno d'incontro il più ampio possibile. Del resto, la natura delle norme costituzionali è proprio questa: essere il prodotto di una convergenza, non di imposizione di una parte sulle altre.

All'inizio, comunisti e socialisti avrebbero preferito la formula "repubblica di lavoratori", ma Fanfani, nel proporre la formula che adesso troviamo, così si espresse: "Dicendo che la repubblica è fondata sul lavoro, si esclude che essa possa fondarsi sul privilegio[.....] e si afferma invece che essa si fonda sul dovere, che è anche diritto ad un tempo per ogni uomo, di trovare, nel suo sforzo libero, la sua capacità di essere e di contribuire al bene della comunità nazionale" ( 22 marzo 1947).

Così prosegue Zagrebelsky : ".....in un tempo in cui la disoccupazione è crescente e il lavoro diventa bene sempre più raro di cui si appropriano i privilegiati, i forti, i figli dei ricchi, a danno di coloro che sono privi di protezioni legali o corporative e di raccomandazioni personali.[...].mi sembra che queste affermazioni siano più attuali che mai."

Il ministro Brunetta, in fondo, ripropone le ragioni della sua battaglia a favore dei meritevoli contro i fannulloni.
Come dargli torto? Ma, obietta il giurista, "questo intento, in assenza di una politica sociale per il lavoro- una politica che la Costituzione richiede- si risolverebbe in una gara falsata, vinta necessariamente dai più forti."
 E aggiunge: " L'articolo 1 della Costituzione non protegge affatto i parassiti sociali. Al contrario! Ma vuole che tutti i cittadini abbiano la possibilità di accesso al lavoro e nel lavoro possano far valere ciò che valgono, in un'uguaglianza di opportunità dove il merito, e non il sindacalismo deteriore, o l'appartenenza a giri di potere, abbiano la meglio." (Gustavo Zagrebelsky ,su "il venerdì" di Repubblica ,12 marzo 2010)

DESTRA E SINISTRA: LA DIFFERENZA E' SCRITTA NEI GENI

Secondo i più recenti studi dello psicologo Satoshi Kanazawa e del neurologo David Amodio, le preferenze politiche sarebbero condizionate dalla struttura del cervello che si eredita alla nascita.

L'essere conservatori è infatti la modalità di base degli esseri umani, perchè implica un particolare attaccamento alla "tribù" ristretta di parenti e amici, paure irrazionali che portano ad una maggiore religiosità e anche una tendenza alla poligamia maschile: ciò è dovuto ad un'alta attività dell'amigdala.

Nei progressisti , invece, sembra essere più attiva la corteccia cingolata anteriore, che blocca l'impulsività, dando più tempo per riflettere sulle proprie azioni.

Da queste premesse sembrerebbe impossibile convincere un elettore conservatore a votare per uno schieramento progressista e viceversa.

Ma il problema che io mi pongo è se sia possibile, mediante un adeguato allenamento, agire sulle aree cerebrali interessate attivandole.

Io penso di sì, altrimenti non sarebbe stata possibile l'evoluzione.

domenica 21 marzo 2010

LA VITA E'...


 Svegliarsi una mattina
E scoprire sul volto
Una ruga in più.

Capire che il tempo
Lascia i suoi segni fuori,
Non dentro.

Incontrare un vecchio e scoprire
Ch’è più giovane di te,
Di te che hai vissuto,

Ma non abbastanza per capire
Che la morte
Non può fare paura.



venerdì 5 marzo 2010

L'ITALIA DEL "NUN SE POTREBBE"

Mi è piaciuto questo post di Alessandro Giglioli e vi invito a leggerlo.

martedì 2 marzo 2010

LA SUPERLINGUA

Che fine farà la lingua italiana? Me lo chiedo da tempo, dato che leggendo qua e là e ascoltando la tv, mi rendo conto che la molteplicità espressiva si va sempre più esaurendo e soprattutto la correttezza ortografica e sintattica è qualcosa su cui si sorvola facilmente.

 Anch'io adesso, quando scrivo, sono più attenta al contenuto di quello che dico piuttosto che alla forma e mi rendo conto di aver perso quel rigore a cui nella scuola che io frequentavo e nei vari concorsi che via via sostenevo, cercavano di abituarci.
Purtroppo mi rendo conto che la lingua è un codice e quindi nasce da convenzioni che impongono certe regole, venendo meno le quali si pregiudica perfino la stessa capacità di comprendersi.
Oggi purtroppo, il rispetto di tali regole è molto vago: la nostra lingua è contaminata dai dialetti, dai gerghi e dai termini stranieri, che noi spesso preferiamo perchè fa più chic.

A dare corpo alla mie vaghe idee ,è intervenuto un articolo di Piero Citati ,apparso su la Repubblica, in cui egli,dopo un appassionante discorso sulla evoluzione storica della lingua italiana, giunge alla conclusione che è venuto il momento di salvare la nostra lingua, una superlingua, la definisce," che contiene in sé stessa decine di lingue e di stili parziali. Racchiude molte isole, spesso diversissime tra loro: eppure tutte queste isole fanno parte della stessa superlingua". Per questa caratteristica egli assimila maggiormente l'italiano al greco più che al latino dal quale vogliamo che essa derivi.

"Se vogliamo conoscere quale sia la vera forma dell´italiano, dobbiamo leggere lo Zibaldone,"- scrive Citati-" dove Leopardi studia la nostra lingua con una passione e una precisione, che nessuno ha mai eguagliato."

Singolare, nel suo escursus storico, è l'analisi dell'italiano nell'immediato periodo post-fascista, in cui si distiguono non una ma due lingue diverse: quella democristiana,che "affondava soprattutto nel linguaggio ecclesiastico, avvocatesco e giuridico: era ramificata, aggrovigliata, spesso (come nel caso di Aldo Moro) incomprensibile"; quella comunista che, al contrario,"soffocava sotto il peso delle formule marxiste o paramarxiste, ricalcate sulla prosa sovietica. Non aveva né vivacità né movimento".

Non mancarono successivamente le contaminazioni fra i due linguaggi,che produssero incredibili mostri linguistici.

Per quanto riguarda l'influenza dell'inglese, Citati osserva che la sua diffusione, pur essendo capillare,ha interessato soltanto gli aspetti lessicali, ma non ha sconvolto la struttura della nostra lingua, che è rimasta intatta,dimostrando così il suo essere una lingua piuttosto conservatrice.

Che ne è dell'italiano di oggi?
". Il primo segno- scrive Citati- è la scomparsa quasi completa delle lingue politiche: il democristiano e il sovietico" : oggi i politici usano un liguaggio più simile a quello dei loro ascoltatori; in televisione è comparso quel mostro linguistico dei talk-show, in cui chi polemizza, chi insulta, chi offende, chi dottoreggia, tutti cercano di strizzare l'occhio agli ascoltatori, non riuscendo tuttavia ad attrarre la loro simpatia, mentre nel frattempo si va diffondendo una sotto-lingua, come egli la definisce, ed è quella che possiamo trovare nelle scuole, dalle primarie all'università, in cui docenti e studenti producono un linguaggio che si inquina reciprocamente, dato che gli stessi docenti sono ormai inconsciamente influenzati dal lessico che emerge dagli elaborati dei loro studenti , con cui continuamente hanno a che fare, elaborati in cui si sconosce la punteggiatura, si passa da un errore ortografico ad un altro, si sconosce la maniera di esprimere anche i sentimenti più semplici( io ne ho fatto l'esperienza).

Non è un caso che , in una famosa università di Torino, come lessi alcuni giorni fa, gli studenti iscritti al primo anno in Medicina, vengono sottoposti a corsi preparatori di lingua italiana, dato che,durante il periodo del corso di laurea essi non avranno più modo di colmare le lacune che si sono lasciati dietro nei precedenti anni scolastici.

Che fare allora? Il rimedio proposto è quello vecchio di sempre: la lettura ( di libri), perchè non è vero,prosegue Citati, che i nostri bambini cosiddetti "nativi digitali", non sapranno dedicare qualche ora del loro tempo alla lettura, sottraendola agli altri passatempi tecnologici, basta semplicemente che siano educati a fare ciò, e in questo la responsabilità ricade naturalmente sui genitori e sugli insegnanti.

giovedì 25 febbraio 2010

SOLILOQUIO

Vediamo se riesco ancora a mettere insieme quattro parole, dato che è ormai da tempo che non scrivo su questo blog.
Il fatto è che, da un po' di giorni, lo uso quasi esclusivamente per leggere, dato che non riesco più a passare quella mezzoretta al giorno con il quotidiano in mano, nè a seguire con qualche interesse i soliti teatrini dei talk show  televisivi, data la nausea provocata dalla marea di notizie e notizuole buttate giù o dette solo per attirare lettori o spettatori.
A proposito, un po' di Porta a Porta l'ho visto l'altra sera, giusto per assistere ad una mano della partita di scherma tra Vespa e Santoro.
Non mi diverto più: ormai tutto mi sembra ridotto a pura competizione: ogni parola è un'arma per duellare con l'avversario di turno. E il motivo di tutto ciò lo vedo nella effettiva assenza di reali argomenti di discussione: ormai si parla o si scrive solo per riempire un vuoto, sonoro o di pagine bianche, ma ciò che viene detto non approda ad alcun risultato e non persegue alcun fine che la propria autoreferenzialità e allora ho cercato di dedicarmi ad altro: uscire di più, incontrare gente "vera", dedicarmi a qualche lavoro manuale, stare un po' di più a contatto con la natura.
Ho anche tenuto spento il computer per interi giorni, ma mi sono resa conto che ormai questo strumento tecnologico è entrato a far parte della nostra quotidianità, come il telefono: non se ne può più fare a meno.
Penso che non sarei più capace di scrivere a penna ( non so nemmeno se la mia calligrafia è ancora quella di qualche anno fa o è cambiata anch'essa, come del resto cambia la personalità , quando nel tempo si accumulano esperienze diverse.
Penso anche che dovrei cambiare il titolo di questo blog, perchè mi sa che non mi troverò mai.

domenica 7 febbraio 2010

SBAGLIANDO S'IMPARA. OPPURE NO?

Ho letto tempo fa un bell'articolo di Piero Angela che mi ha fatto molto riflettere e di cui pubblico uno stralcio, convinta che come le spiega lui certe cose non sarei capace di farlo io.

Come dice il proverbio: sbagliando s'impara. Ed è vero. Lungo tutta la nostra vita accumuliamo esperienze attraverso i nostri errori.


Ma in certi casi l'apprendimento per esperienza non serve, anzi, è catastrofico. Se, per esempio, si scala l'Everest senza conoscerne i pericoli, non c'è più tempo per trarre insegnamento dagli errori. Si muore prima, per freddo, fame, intemperie e mancanza di ossigeno. Ciò vale per molte cose, in particolare per le scelte che riguardano il nostro avvenire. Se si va verso il futuro senza conoscerne i problemi, l'apprendimento per errori non serve più. È troppo tardi. Ma una delle capacità del nostro cervello è quella di fare ipotesi, congetture, progetti, simulazioni che gli consentano di immaginare situazioni future, di intuirne le conseguenze e quindi di evitare i pericoli e ridurre i rischi, prendendo oggi le decisioni necessarie. Questa capacità è frutto non solo di un cervello complesso, ma di un allenamento mentale che deve cominciare dall'infanzia, attraverso l'esperienza del gioco, e continuare poi con una varietà di stimoli creativi. È un tipico meccanismo umano, che da sempre è alla base dell'immaginazione e delle invenzioni. Invenzioni di macchine, di idee, di strategie, di progetti. Per risolvere problemi non ancora reali, ma immaginati tempestivamente.

Attraverso l'immaginazione l'uomo è riuscito a realizzare grandi imprese. La conquista della Luna, per esempio, è avvenuta grazie a una serie di simulazioni mentali. Sulla Luna non c'era mai stato nessuno prima: e non si poteva certamente usare l'apprendimento per errore. Per fare arrivare fin lassù degli astronauti e riportarli a casa sani e salvi, è stato necessario simulare mentalmente (e risolvere) i problemi prima ancora che si ponessero: problemi collegati alle leggi di gravità, alle temperature, alle comunicazioni, al carburante, agli strumenti di navigazione, ai veicoli. In altre parole, si è imparato a fare una cosa del tutto nuova, cioè andare sulla Luna senza mai esserci andati. È stato un apprendimento immaginato. Un "apprendimento innovativo", che ha consentito di operare nel modo giusto.

 Anche per andare verso il futuro è ormai necessario affrontare il viaggio allo stesso modo. Sarebbe infatti catastrofico imparare dagli errori. Dobbiamo riuscire a simulare mentalmente i problemi prima ancora che si pongano. Breve e lungo termine Ma, ammesso che lo si voglia, sarebbe davvero possibile prevedere il futuro? Il problema purtroppo è che troppi elementi si intrecciano e rendono la previsione assai difficile. È come in una partita a scacchi: ogni volta che si sposta un pezzo si modifica tutta la situazione sulla scacchiera. Perché tutti i pezzi si influenzano a vicenda. E a ogni mossa la situazione cambia. È quindi difficile prevedere esattamente come si presenterà la scacchiera fra 10 o 15 mosse. Quello che però si può facilmente prevedere è che se un giocatore gioca male, comprometterà senz'altro l'esito futuro della partita. Uno degli errori tipici, per esempio, di un cattivo giocatore, è quello di mangiare subito certi pezzi che sembrano vantaggiosi, senza pensare alle conseguenze future. Giocando a breve termine, in realtà, si compromette il lungo termine, e si finisce per perdere.

Analogamente, nelle nostre società noi tendiamo a mangiare subito certi pezzi che ci danno vantaggi immediati, senza pensare alle conseguenze lontane. Le nostre scelte non sono lungimiranti, ma "brevimiranti". Stiamo così preparando la crisi di domani. Allo stesso modo in cui ieri abbiamo preparato le crisi che conosciamo oggi.