Era alto e magro, quasi ossuto, ma con il viso sempre sorridente, quando veniva a trovarmi il pomeriggio alle 5 per portarmi la brioscina e farmi così fare una piacevole pausa dai compiti.
A volte mi raccontava, a mo' di favola, qualche sua esperienza di guerra nelle retrovie del fronte orientale ai confini con l'Austria Ungheria.
Faceva il messaggero portando missive con la bicicletta da un punto all'altro delle retrovie.
Finita la guerra, superò poco dopo un concorso per le ferrovie dello stato e fu assunto come macchinista nella tratta Dittaino Piazza Armerina.
Aveva frequentato la scuola fino alla sesta elementare ed era quindi in grado di scrivere e parlare correttamente. Memorabili i suoi racconti di storia vissuta ma che non collimavano molto con quello che io leggevo nei libri, per cui gli dicevo : " Ma nonno, non è così la storia, la maestra me l'ha detta in un altro modo". Comunque questi discorsi servivano da stimolo affinché io studiassi con sempre più passione.
Bisogna dire che era stato proprio lui ad avviarmi ai primi rudimenti della scrittura quando, sopra il bancone del tabacchino, che aveva acquistato dopo che aveva anticipato il pensionamento dalla ferrovia, mi insegnava le parole crociate di cui era appassionato esecutore o quando mi sfogliava le pagine della Domenica del Corriere insegnandomi a leggere prima che io frequentassi la scuola.
Certe mattine di aprile, nelle belle giornate di primavera, mi portava per mano a scoprire le violette.
Ci incamminavamo, sempre chiacchierando, giù per la strada che conduceva a Piazza Armerina finché, oltrepassate le cosiddette "grotte di Baldassarre", che in realtà sono delle tombe preistoriche (ma lui non lo sapeva), giungevamo al ponticello e da lì imboccavamo il sentiero delle violette che in realtà era una stradina sterrata che costeggiava la Sciumaredda, un ruscello limpido che con la sua umidità consentiva una lussureggiante vegetazione tutt'intorno, e lì ci fermavano a cercare, fra le foglie che ricoprivano la scarpata sulla destra, le violette selvatiche che solo in quel punto pare sbocciassero. Non era facile farne un mazzolino da portare alla mamma o alla nonna, ma intanto eravamo felici di averle trovate.
Nei pomeriggi d'estate mi accompagnava lungo la via Sant'Elena e poi più in là verso il Buglio.
Quasi di fronte a dove ora sorge la villa nuova, una piccola grotta, scavata nella scarpata e sormontata da un frondoso ulivo, costituiva il sedile ideale per un po' di relax e qualche chiacchierata all'ombra. Quel luogo era ormai diventato la meta per le nostre passeggiate pomeridiane e il riparo ideale dalla calura estiva.
Mio nonno era un salutista : la mattina girava per la spesa, con la classica borsa di pelle a scacchi marrone e nera, alla ricerca della frutta migliore e della consueta fettina di filetto da cucinare rigorosamente ai ferri.
Quando io andavo a casa dei miei nonni, restavo colpita da quelle mele o pesche grosse e colorite, sempre mature al punto giusto, poche però, perché bastavano solo per la giornata, infatti la spesa veniva fatta ogni mattina per avere la merce sempre fresca.
Memorabile la salsa di pomodoro di mia nonna, semplicissima e gustosa, con l'olio aggiunto solo alla fine, per evitare di danneggiare il fegato.
E che dire dell'enciclopedia medica sempre a portata di mano o delle 7 sigarette al giorno, fumate a orari fissi e all'insaputa del medico di famiglia?
Pensavo che la sua ambizione fosse stata quella di fare il medico, tanto sapeva sempre qual era il rimedio ad ogni malessere.
Una volta l'anno pretendeva che tutta la famiglia si sottoponesse alle analisi del sangue per controllare che non ci fosse alcuna anomalia da curare prima che il problema diventasse troppo grave.
E quando cominciai a frequentare l'università mi convinse ad assumere delle pilloline di fosforo perché mi aiutassero a studiare meglio, abitudine che però persi in breve tempo.
Esemplare anche il rapporto che aveva con mia nonna. La loro storia d'amore, raccontata come un romanzo, suscitava non poche fantasie in noi ragazzi adolescenti. Diceva che si era invaghito della sua bellezza e delle sue lunghe trecce, quando lei aveva 15 anni e lui 21, vedendola passare per recarsi dalla sarta, e il padre gliela aveva concessa senza difficoltà rassicurato dalla precoce condizione di impiegato statale, cosa non facile a quei tempi.
Naturalmente lei lo seguì ovunque, anche quando, in periodo fascista, a causa della sua malcelata insofferenza al regime , fu trasferito per punizione a Voghera, nella fredda Lombardia,a 1500 kilometri di distanza dalla mitezza del clima siciliano.
Lì ,di notte,l'acqua gelava sul comodino e il caminetto non bastava a riscaldare le toste giornate invernali.
Sul treno, col finestrino aperto per tenere d'occhio i segnali, la lacrima gelava sull'occhio e le gocce di muco sotto il naso a mo' di piccole salattiti.
Dopo varie richieste e insistenze, gli fu concesso il trasferimento a Paola, in Calabria,la città di San Francesco, e solo dopo aver accusato notevoli danni alla schiena, a causa della posizione eretta che doveva assumere per guidare il macchinario e dei continui sobbalzi del treno, gli fu concesso il pensionamento anticipato per malattia.
E fu così che tornò a Valguarnera, dove ebbe la possibilità di gestire un tabacchino in via Garibaldi. E fu così che dopo potei nascere io o forse, chissà, potrei essere nata nel freddo e prolifico Nord.
Ma io son contenta di vivere qui, fra le tiepide e verdeggianti colline che circondano il mio paese.
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