venerdì 11 settembre 2009

LA DONNA ROMANA

Vorrei continuare la mia ricerca sulla donna nei secoli, prendendo in considerazione la donna romana, cercando quindi di rispettare un certo profilo evolutivo.

Prima di andare a vedere da vicino come fosse la vita di una donna romana, occorre dire che in tutta l’antichità, da epoche ancestrali fino al secolo XX, la donna è sempre stata relegata ad un ruolo di forte subalternità all’uomo. Questa subalternità, che ha trovato varie scuse come per esempio la debolezza fisica e intellettuale del sesso femminile, scusa per eccellenza, si è manifestata in modi diversi, e più o meno intensi a seconda delle civiltà, delle latitudini, condizioni di vita generali.

Per quanto riguarda la donna romana, bisogna distinguere le tre fasi con cui si usa periodizzare la storia romana: età arcaica, età medio repubblicana (che per la scarsità e omogeneità di notizie saranno trattati assieme) e età imperiale. Un’altro carattere per descrivere la condizione della donna antica, è relativo alle varie tipologie di fonti, le descrizioni che gli autori ci danno, i testi legislativi, in modo tanto variegato che è difficile farne un quadro unico e completo.

Sarà piuttosto una raccolta di notizie, relative più che altro a temi per forza di cose vicine alle donne, come per esempio il matrimonio, l’educazione dei figli, le attività che potevano o non potevano svolgere.

Nel periodo più antico non c'è dubbio che la donna abbia avuto un ruolo di netta inferiorità rispetto all'uomo, sebbene Roma abbia seguito la tradizione etrusca e non greca, che le lasciava comunque più libertà. Fin dalla nascita era soggetto dello ius uitae necisque da parte del padre, cioè il diritto di ucciderla o no in particolari situazioni. Con il matrimonio, a seconda del tipo di rito, poteva passare dalla manus (cioè la sottomissione) del padre a quella del marito (manus maritalis), in questo caso i beni e la dote passavano al marito, unico detentore, poiché la donna nella nuova casa entrava non come pari al marito ma come figlia, quindi soggetta alla sua autorità.

Con la diffusione del matrimonio cum manu (cioè con il passaggio dell'autorità e dei beni paterni a quelli del marito) la donna doveva essere fedele all'uomo: in caso di adulterio chiunque all'interno della famiglia poteva ucciderla senza nemmeno denunciarla e quindi ricorrere alla giustizia pubblica. Doveva inoltre sopportare il tradimento da parte del marito e il ripudio, anche se questo avveniva di rado, cioè in caso di decesso dell'uomo o che sia reso schiavo per debiti o per la guerra. Per tali motivi la donna nel periodo più antico non poteva mai stare a capo di un famiglia romana, ma sempre in loco filiae, in posizione di 'figlia', sia quando ritornava dal padre sia quando era soggetta al marito.

Figure atipiche del periodo arcaico e che si manterranno tali anche durante tutto l'impero fino alla loro soppressione da parte dei cristiani erano le uestales, le uniche che dopo il loro periodo di sacerdozio, che iniziava a circa sei anni e durava una trentina di anni, erano totalmente autonome, poiché erano sottratte alla tutela muliebre (tutela mulierum).

Se il marito muore la donna diventava sui iuris, cioè in teoria indipendente, ma le viene affidato un tutore legale, che gestiva i beni per lei e convalidava i contratti o qualsiasi documento pubblico.

Verso la fine della repubblica la situazione migliorò, creando le premesse per l'emancipazione imperiale: bastava che il tutore sia stato assente anche per pochissimo tempo che la donna lo denunciasse al pretore e se ne facesse dare uno di fiducia. Il tutore, inoltre, non poteva più amministrare i suoi beni me era un semplice prestanome che rendeva valide le operazioni giuridiche della donna: firmare un contratto, accettare un testamento o intentare azioni giuridiche. Cedere beni e prestiti potevano essere fatti senza l'auctoritas del tutore e, se venivano rispettate alcune formalità, potevano redigere il testamento.

Sempre verso la fine della repubblica le tre forme di matrimonio arcaiche cominciarono ad avere la loro crisi: l'usus, cioè il matrimonio dopo una coabitazione prolungata per un anno e non interrotta per tre notti di seguito, che comportava il passaggio dell'autorità al marito, scompare rapidamente, per via delle difficoltà sociali che comportava. La coemptio, cioè una fittizia vendita della donna dal padre al marito (anche qui egli acquista l'autorità del padre), si diffonde verso la fine della repubblica ma declina con gli inizi dell'impero; la confarreatio cioè il matrimonio religioso per eccellenza, cade in disuso e si mantiene solo per le famiglie nobili e per il flamen Dialis, per cui era indispensabile questo tipo di legame, che era l'unico religioso. Si diffonde accanto a questi il matrimonio sine manu, cioè più libero degli altri, che poi nel periodo imperiale sarà il matrimonio principale, conservato dal cristianesimo con qualche adattamento e arrivato fino a noi. Con questo tipo di matrimonio la donna rimaneva giuridicamente alla famiglia di appartenenza e aveva perciò la facoltà di ereditare i beni del padre alla morte di questi.
Usanza tipica della repubblica che durerà anche durante il periodo imperiale è quello di non far bere il vino puro alle donne durante i banchetti, questo perché il vino dell'antichità era considerato troppo forte per una donna. Perciò dovevano bere solo vino annacquato (mulsum), usanza che fu usata soprattutto nei banchetti pubblici, mentre nei privati variava da casa a casa

Le donne come figure storiche non mancano durante la repubblica: dapprima si hanno figure sullo stile di Lucretia e di Clodia, la prima esempio della donna tradizionale, cioè dedita alla casa e ai figli e fedele al marito quando questi è lontano in guerra, la seconda rappresenta le virtù femminili come sacerdotessa devota.

Con il passare del tempo accanto alla figura tradizionale della donna se ne affiancano due: quella della madre sapiente che educa i figli come gioielli, la tarda repubblica è piena di queste donne forti che con la precoce morte del marito crescono i figli che poi diverranno grandi protagonisti della storia, basti pensare a Cornelia, la amdre dei Gracci e ad Aurelia, la madre di C. Iulius Caesar; e quella della donna intellettuale, che una volta diventata vedova, si attorniava si intellettuali, rendendo la propria casa un luogo di diffusione e elaborazione della cultura dell'epoca. Non mancano le donne che si cimentano per prime nella composizione di versi come Sulpicia.

Nel periodo imperiale la donna acquista una libertà e un riconoscimento sempre maggiore all'interno della società romana: intorno al II secolo d.C. viene riconosciuta come parentela legittima sia la cognatio (la parentela di discendenza femminile, già in parte riconosciuta durante la tarda repubblica) sia l'agnatio (la parentela di discendenza maschile), mentre durante la repubblica e il primo impero solo l'ultima era riconosciuta come famiglia legittima; vengono confermate le novità introdotte verso la fine della repubblica: la tutela da parte della madre dei propri figli in caso il padre sia deceduto o che venga riconosciuto come un cattivo genitore. Per quanto riguarda il diritto alla successione abbiamo due importanti tappe: la prima sotto Hadrianus, con il senatus consultum Tertullianum, in cui viene riconosciuta la successione dei figli della madre, qualora ne avesse almeno tre, in caso di morte del marito; la seconda sotto Marcus Aurelius, con il senatus consultum Orfitianum del 178, quando in caso di morte del marito i figli della moglie hanno la prevalenza sulla discendenza del marito, per quanto riguarda la successione.

Du: entra nella nuova casa alla pari con l'uomo, il nuovo matrimonio si fonda infatti sul consenso di entrambi gli sposi. Con questo tipo di matrimonio la dote e i beni della donna affluiscono in L'amministrazione dei beni della dote e della donna sono regolati anche da altre leggi: sempre con la lex Iulia si sancisce che una parte dei beni affluiti in quelli del marito debbano essere usati per stabilire la dote delle proprie figlie; stabilisce anche che i beni della donna non possono garantire i debiti del marito. Con un senatus consultum Velleianum sotto Claudius, nel 46 d.C., si vieta alla donna di impegnarsi a favore del marito o di un terzo usando i propri beni, uso mantenuto in Francia fino alla rivoluzione del 1789.

Ritornando alla questione dell'adulterio nel 18 a.C. con la lex Iulia de adulteriis coercendis Augustus stabilisce che in caso il marito colga in flagrante la donna abbia il diritto-dovere di uccidere l'amante ma non la donna, poi deve denunciare l'adulterio alle pubbliche autorità, in caso non lo faccia è accusato di stupro (stuprum, lenocinium) moralmente. Se è il padre della donna a cogliere in flagrante l'adulterio deve uccidere entrambi o verrà accusato di assassinio. Sia il padre che il marito devono denunciare l'adulterio entro sessanta giorni, trascorsi i quali hanno ulteriori quattro mesi di tempo, durante i quali chiunque può denunciare il crimine.

Fu proprio in questo periodo che la donna godette di una considerazione che potremmo tranquillamente confrontare con quella odierna: la sua autonomia e la sua reputazione non la rendevano più una sottoposta dell'uomo, ma una sua pari; già al giurista Gaius la presunta inferiorità intellettuale delle donne sembra una questione oziosa e fatica a considerare i tutori come qualcosa di utile. Così dai testi imperiali troviamo donne che gareggiano con gli uomini in tutti i campi, dall'atletica al tiro di spada, dalla filosofia alla grammatica, e non mancava chi riuscisse a superare per conoscenze qualche grammatico professionista, senza contare le donne che si interessavano di politica o di strategie militari.

Alcune donne potevano anche seguire la carriera del gladiatore: è noto attraverso epigrafi che durante il periodo imperiale anche le donne, se volevano, potevano combattere nell'arena. Da sottolineare il filosofo Gaius Musonius Rufus, che teorizzò, e tentò di metterla in pratica, l'uguaglianza intellettuale e morale dei due sessi sotto i Flaui. Dal punto di vista storico si hanno molte protagoniste di notevole importanza: basti pensare a figure come Iulia Domna o Iulia Mamea o alle altre molteplici Augustae che hanno influenzato le decisioni di vari imperatori o governato per loro o con loro. Per far capire quanto sia notevole la svolta della condizione femminile, basti pensare che si diffusero esempi di donne romane la cui memoria veniva onorata e imitata, e non si tratta di donne passate alla storia come brave filatrici o bambinaie, ma per aver partecipato alla vita pubblica in modo attivo o per le loro doti, come Tacitus elogiò Paulina. Moltissime donne, sono poi elogiate come abili scrittrici, tanto da essere paragonate nello stile a Plautus e Terentius, quest'ultimo divenuto un classico della letteratura latina insieme a Sallustius, Cicero e Vergilius.

Oggi molti storici considerano l'emancipazione della donna come la causa della crisi della famiglia nell'antica Roma: l'antico ordine repubblicano nel II secolo d.C. era ormai dissolto e le donne avevano già acquistato le libertà sopradette. Sono i lamenti di poeti come Iuuenalis o le lettere di Plinius Secundus a far nascere il dubbio che emancipare la donna sia stata la causa della crisi, ma bisogna tener conto anche di chi siano questi personaggi che protestano: Plinius Secundus è un nobile che più di una volta si dimostra un sempliciotto spesso freddo e insensibile, Iuuenalis scrive le sue satire non con l'ironia di un Horatius o di un Persius, ma con un forte astio verso questa nuova società che si era affermata ed è nota la sua misoginia. Non stupisce perciò se tra le righe di questi autori, in particolare Iuuenalis, troviamo disprezzo verso le donne, usate come simbolo dell'immoralità.

L'unica cosa certa che fu fatta forse per mantenere un pò l'ordine, fu una legge di Hadrianus che divideva i luoghi e le ore per le terme tra uomini e donne: prima non c'era alcuna distinzione e spesso uomini e donne andavano assieme, ricordiamo però che l'imperatore fu anche autore di altre leggi che emanciparono la donna.

Col trapasso dal mondo antico al mondo medievale e i regni romano-barbarici la condizione peggiorò ma non subì una sconfitta totale: anche nel medioevo c'erano vere e proprie protagoniste che vivevano alla pari con gli uomini e piano piano ripresero molte libertà. Dobbiamo aspettare l'età moderna perché la condizione si aggravi di brutto e la donna ritorni in permanente condizione di inferiorità rispetto all'uomo.

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