Questo racconto è assolutamente autobiografico:
IL GESSO
Le giornate scorrevano lente e inesorabili, scandite dalla
pioggia che a tratti diventava più intensa, battendo sui vetri e disegnando
gocce che scivolavano lentamente come lacrime di una tristezza inespressa.
Miriam, distesa sulla sdraio con le gambe appoggiate su una
sedia impagliata protetta da un cuscino variopinto, osservava attentamente le
unghie delle uniche due dita dei piedi che le erano rimaste fuori da
quell’ingessatura ormai diventata un fardello difficile da sopportare. Erano di
un colore bluastro striate a tratti da venature grigiastre.
Che disdetta! Quando qualche amica decideva di venirle a
fare un po’ di compagnia, si soffermava a guardare proprio quelle, quasi
fossero le uniche parti del corpo degne di essere osservate e che, comunque,
attiravano subito l’attenzione di chi cercava di indovinare la frattura che si
trovava all’interno di quell’involucro
che prima era bianco e che ora si ingrigiva e si macchiava per la polvere che
vi si accumulava e le tracce dei pochi movimenti che quel fagotto le consentiva
di compiere .
Così decise di tingerle. Almeno da quell’involucro informe
sarebbe uscito fuori un colore rosso brillante che ravvivava il tutto e
attenuava la tristezza di quell’avvilente spettacolo.
Miram aveva una vera e propria ambizione per l’estetica, ed
era sempre capace di trasformare una realtà banale in un contesto interessante
e attraente.
Aveva progettato la sua casa personalmente, non facendosi
mai guidare da persone competenti ed esperte nel settore dell’edilizia e dell’arredamento,
e in ogni ambiente traspariva la sua personalità: eclettica, artistica,
originale e accattivante.
La sua casa era accogliente e in più incuriosiva i
visitatori per l’insolita disposizione degli ambienti: un po’ classica , ma
sempre con qualche curiosa sorpresa.
Non aveva mai badato alle mode, e per questo la sua casa
assumeva un fascino senza tempo mantenendo comunque sempre una certa attualità.
E dire che vi abitava da più di trent’anni!
Ora, quella casa così accogliente, così sua, era diventata
per lei una prigione: non c’era l’ascensore e, per uscire , avrebbe dovuto
scendere due piani di scale con una gamba sola, una cosa decisamente
impossibile, alla sua età.
Così cominciò a rovistare tutti gli scaffali e le librerie
che aveva sparse per la casa,( non aveva una vera e propria biblioteca!), alla
ricerca di qualche libro non ancora letto che la potesse interessare e che
riempisse le sue giornate così vuote. Lesse la “Storia d’Italia” di Indro
Montanelli., “L’Isola senza ponte” di Matteo Collura , e altri saggi. Non le
piacevano molto i romanzi, perché non sempre riusciva ad identificarsi con una
realtà completamente diversa dalla sua, però apprezzò molto “Non ti muovere”,
di Margaret Mazzantini.
Erano trascorsi ormai dieci giorni di quella forzata
clausura. La donna che veniva ad aiutarla la mattina, una rumena dai ricci
capelli color malva e dalla corporatura minuta, aveva “fatto le valigie”, così
Miriam dovette arrangiarsi a fare anche qualche faccenda, come poteva, e , per
muoversi meglio in casa, si aiutò con una sedia a rotelle.
All’ora di pranzo, veniva il marito a farle un po’ di
compagnia e i figli, ormai grandi e impegnati col lavoro, venivano a salutarla
frettolosamente, giusto il tempo di un abbraccio, di un “come stai?”.
Col tempo la solitudine cominciò a farsi pesante: ella non
era abituata a trascorrere tutto questo tempo in casa da sola: lavorava, e
quindi tutte le mattine usciva di casa, incontrava persone con cui scambiare un
saluto, qualche parola, un sorriso. Così, una sera, decise di provare
l’esperienza di internet, alla ricerca di qualcuno con cui chiacchierare per
illudersi di non essere sola, di avere un po’ di compagnia, e lanciò un appello
attraverso il blog: “ sono ingessata, aiutatemi!”. In tanti le risposero, si offrivano
di farla chiacchierare in chat, ma Miriam provava un po’ di timore: la
spaventava quella realtà virtuale, temeva che le sue parole fossero captate dal
resto del mondo e questo pensiero le creava una sensazione di sgomento e di
angoscia. La spaventava soprattutto l’idea di scoprirsi, di denudare la sua
anima davanti al mondo. Poi si fece coraggio: “Cerco persone con interessi
culturali “
“ Eccomi pronta, a tua disposizione”, le rispose Giorgia. Ma
gli argomenti, di lì a poco , si esaurirono: lei parlava solo delle sue
esperienze scolastiche, mentre Miriam aveva lasciato la scuola già da un paio
d’anni e non voleva più sentirne parlare.
Conobbe Marco, che
scriveva aneddoti in latino. Le piaceva il latino, le piaceva scoprire la
semplicità e la verità senza tempo di quelle sentenze, di quegli aneddoti ma,
dopo un po’, si stancò anche di quelli. Così, girovagando in quella società
virtuale incontrò Giuseppe, professore universitario che andava discorrendo di
filosofia politica e la cosa la interessò al punto che riuscì a intavolare una
discussione di un certo interesse per entrambi. Ma ben presto si accorse che le
idee non collimavano, i punti di vista erano diversi, le soluzioni ai problemi
proposti, diverse anch’esse: così anche quel rapporto virtuale si esaurì nel
breve tempo di un paio di settimane.
Intanto, alla visita di controllo, l’ortopedico le disse che
poteva incominciare a poggiare il piede per terra e quindi fare qualche passo
abbandonando l’odiata stampella. Avrebbe potuto anche uscire, ma si vergognava
a farsi vedere in quelle condizioni: viveva in un paesino molto piccolo, dove
tutti si conoscevano e , ad ogni passo, ogni persona che l’avesse incontrata le
avrebbe chiesto cosa fosse successo, e a lei non andava proprio di parlarne;
avrebbe voluto dimenticare al più presto quella triste esperienza. Cosi, dopo
aver adempiuto con fatica alle poche faccende domestiche indispensabili, si
sedeva al computer: ormai ne era diventata dipendente, Internet è una realtà
che affascina: vi puoi trovare di tutto e quindi andò su Google a cercare tutte
le notizie che le venivano in mente riuscendo così a soddisfare rapidamente le
sue numerose curiosità.
Ma era soprattutto la compagnia che le mancava: non serve a
niente sapere tante cose se non hai qualcuno a cui comunicarle, qualcuno con
cui confrontarti.
Trovò Antonio, filosofo mancato, che sfogava le sue ansie
filosofiche sul blog. Quindi provò a cimentarsi con la filosofia, un campo
quasi inesplorato per lei, che l’affascinava e la incuriosiva, anche se sapeva
che, con quei discorsi non avrebbe “cavato un ragno dal buco”, ma tant’è, fare
ogni tanto delle elucubrazioni mentali ti diverte, ti da’ un senso di
gratificazione: in fondo l’uomo è un animale razionale e mettere in movimento
il cervello, quest’organo complesso di cui ci ha fornito madre Natura, è un’attività estremamente gratificante, come
andare in palestra , per chi ci può andare!
Ma gli amici, gli amici, quelli veri, quelli che ti
conoscono e che possono guardarti in faccia, dove sono? In fondo questi amici
virtuali sono degli sconosciuti incontrati per caso, con cui forse non ti
incontrerai mai veramente, de visu.
Stava per perdere il contatto con la realtà.
Intanto erano passati i quaranta giorni fatidici e il gesso
andava tolto: che gioia poter finalmente camminare, correre, uscire, libera,
finalmente.
Si recò all’ospedale
chiacchierando festosamente col marito che l’accompagnava in macchina.
Nell’androne
antistante il reparto, tanta gente : chi attendeva di essere visitato, chi si
trovava quasi nelle sue stesse condizioni. Un bambino, che doveva anch’egli
togliere il gesso, aspettava quel momento con ansia, pregustando la partita di
pallone che lo attendeva nel pomeriggio. Ma, ahimè, quando usci finalmente
libero da quell’ingombro e scalzo, non potè nemmeno poggiare il piede per terra
e , ad ogni tentativo, usciva fuori un grido di dolore insopprimibile. Pianse
il bambino, la delusione era grande. La madre lo consolava dicendo: “vedrai che
andrà sempre meglio”, ma, intanto, l’agognata partita di pallone era ormai
diventata solo un sogno svanito nel nulla.
“Toccherà la stessa sorte anche a me?” cominciava
preoccuparsi Miriam. Ebbene sì, la libertà sperata non ci fu: un dolore
intenso, forse più intenso di quello percepito durante la caduta, si impadronì
di lei, facendole perdere ogni speranza di poter riprendere la vita normale per
chissà quanto tempo.
Così tornò a casa disfatta. Pensava che ancora per molto
sarebbe dovuta restare in quella prigione.
Il marito la consolava dicendo:” adesso faremo un po’ di
fisioterapia e presto il dolore passerà”.
Per fortuna c’era Internet.
“Stasera mi voglio confrontare col mondo di Facebook”-
pensò.
Dovette però scrivere il suo vero nome ,stavolta, perché
avrebbe dovuto relazionarsi con persone che la conoscevano e non poteva
rischiare che gli altri, se avesse usato uno dei tanti nikname che usava per
chattare, non l’avrebbero accettata come amica.
“Che bello! Non ci sono avatar! Posso esprimere me stessa
per quello che veramente sono, posso chiacchierare come se fossi in una piazza
virtuale!”
Subito cercò le persone che conosceva: amici di vecchia
data, compagni di scuola, ma , ahimè, non ne trovò nessuno.
Qualche ex alunno accettò la sua amicizia. “Certo”- pensò-
“facebook è un mondo di ragazzi, che ci faccio io alla mia età? Epperò decise
di non arrendersi, di continuare quell’ avventura telematica e, a poco a poco,
trovò anche qualche amico più anzianotto.
Amico! Dire amico, su facebook è una parola un po’
impropria, un po’ eccessiva. L’amicizia vera è un’altra cosa: è un sentimento
che ti lega ad un’altra persona con cui hai degli interessi comuni, ed è basata
sull’altruismo. Ma su fb no, non sono amici, solo conoscenti, con cui ti passi
il tempo la sera ragionando del più e del meno. Più del meno che del più. Però
è bello vedere quelle immagini che scorrono, qualche fotografia di persone
lontane che non vedi da tanto tempo e, soprattutto, l’illusione di non essere
soli e la comodità di non dover uscire di casa per incontrare qualcuno.
Ormai il dolore era passato e Miriam potè riprendere la sua
vita normale. Così si allontanò da fb; vi andava di tanto in tanto la sera ,
chissà vi avesse trovato qualche sorpresa, qualche interessante novità.
Un giorno, una richiesta di amicizia inconsueta la lasciò
perplessa: dalla foto, un uomo di mezza età ormai incanutito, le sembrava di
conoscerlo, ma non ricordava dove l’avesse visto, cosi gli inviò un messaggio e
gli domandò :” Dove ci siamo conosciuti?”
“Ci siamo conosciuti a un matrimonio, quarantasette anni fa,
prova ad andare indietro con la memoria, fino alla tua adolescenza ,e ti
ricorderai di me”. Intanto le mandò una sua foto dell’epoca, e Miriam subito si
ricordò.
Ricordò che avevano ballato per due ore e che,alla fine, lui
le aveva chiesto di incontrarla qualche altra volta, ma lei gli rispose con una
canzone nel jouke box :”Non ho l’età, non ho l’età per amarti, non ho l’età…”.
Aveva solo tredici anni!
“Vorrei sentire la tua voce. Chiamami, se ti va”
Miriam ci pensò e ripensò, alla fine si disse: ”Lo chiamo, è
sempre un pezzo della mia vita che ritorna inaspettatamente alla memoria”. E
così fece.
“Pronto…”
“Sono Miriam”
“Non ci credo!”
“Ma si, sono proprio io!”
Si parlarono
“Cos’hai fatto negli ultimi quarantasette anni?”- le chiese.
“Come faccio a risponderti nello spazio di una telefonata?”
“Era solo una domanda provocatoria per vedere la tua
capacità di sintesi”-le rispose.
“Mi viene difficile pensare che sei già in pensione!”
“E tu che fai?”
“Sono medico” le disse”non sono più il ragazzo
diciassettenne di allora, ma adesso sono migliorato”
“Be’, a presto, ciao”
“Ciao”
Quella voce al telefono le sembrò la stessa che credeva di
aver udito quando lei aveva solo tredici anni. Fece un salto nel tempo e si
ritrovò poco più che bambina quando, ancora inesperta della vita e di ciò che
l’attendeva, si accingeva a varcare la soglia del collegio per la prima
esperienza di scuola superiore. Ricordò le ansie, le preoccupazioni, le attese.
I primi innamoramenti, i primi turbamenti.
Una parte della sua vita che lei aveva volutamente
cancellato dalla sua mente, tutta proiettata al presente e con ancora tanti
progetti per il futuro, ritornò prepotentemente alla sua memoria ,quasi a farle
compiere un viaggio nel passato, facendole rivivere le esperienze e le
sensazioni di allora.
Si ricordò del collegio, dei vasti ambienti bui e freddi che
una stufa a legna non era in grado di scaldare. Si ricordò delle monache che
ogni mattina, con la loro tonaca nera dall’ampio colletto bianco,
l’accompagnavano a scuola. Si ricordò delle compagne, dell’allegria e
dell’ingenuità, dei primi amori, delle uscite furtive per respirare quel po’ di
quella libertà di cui sentiva il bisogno. Si ricordò delle messe a cui arrivava
sempre in ritardo, dei canti e delle contestazioni sul cibo sempre scadente.
Si ricordò della madre e del padre che, ogni settimana, andavano a trovarla,
portandole ogni genere di leccornìa ,che lei divideva con le compagne ,divorando avidamente quelle prelibatezze
che in quel luogo le venivano negate. Si ricordò dei libri, del poco sonno,
delle nottate prima dell’interrogazione, degli scherzi alle suore; e
all’improvviso si sentì bambina, come allora, con la voglia di vivere che aveva
dentro.