Propongo un testo che ho scritto l'anno scorso.
Prendendo spunto dall'invito di Corrado Augias di andarsi a rileggere il capitolo sulla peste dei Promessi Sposi, l'ho fatto, e vi ho trovato molte somiglianze con la situazione attuale, ma anche molte differenze dovute all'evoluzione dei tempi e al progresso della scienza.
Ma devo constatare che l'atteggiamento mentale della maggior parte di noi di fronte a un nemico sconosciuto che irrompe improvvisamente a sconvolgere le nostre vite, non è mutato.
Manzoni descrive bene la diffidenza iniziale nonché l'incredulità che ci fa inizialmente sottovalutare il problema dicendo che si tratta di una semplice influenza e che i media esagerano, volendo in realtà nascondere chissà quale piano segreto, quale complotto internazionale ai nostri danni.
Non appena, nel capitolo citato, si diffonde la certezza che trattasi di un'epidemia, subito si va alla ricerca della "causa" che ha scatenato il contagio, che viene individuata nei Lanzichenecchi che, guarda caso, venivano dalla Germania. Ognuno va a caccia dell'untore e si diffonde la diffidenza tra le persone.
Il medico Ludovico Settala, che per i lunghi anni della sua vita era stato grandemente stimato per la sua attività e i suoi meriti, viene addirittura aggredito per aver detto la "verità" e cioè che, per evitare il contagio, bisogna stare isolati.
Il governatore ritarda a promulgare la "grida", essendo in tutt'altre faccende affacendato e prendendo sottogamba la situazione. L'unico che si adopera per cercare di limitare il contagio è, come al solito, il cardinale Federico che raccomanda ai parroci di diffondere le norme per prevenire il contagio.
L'angoscia serpeggia tra la popolazione e intanto la peste invade, guarda un po', Milano.
La differenza tra angoscia e paura l'ha ben descritta qualche giorno fa, tra gli altri, Massimo Recalcati, ma anche Umberto Galimberti.
Per limitare l'aggressività che l'angoscia produceva nella gente, il medico Settala si vide costretto a denunciare come "strega", e quindi untrice, una povera servetta la quale fu messa al rogo e così il capro espiatorio fu bell'e trovato.
Ma l'epidemia durò ancora a lungo e si dovettero inventare altre "prove" visibili che trasformassero l'angoscia in paura (più controllabile), e così si unse un muro di un unguento giallo che venne prontamente bruciato per dare un po' di sollievo alla paura delle persone.
Vi risparmio la descrizione del lazzaretto che mi viene da paragonare, anche se impropriamente, ai nostri ospedali e i cappuccini che vi operavano, con grande pazienza e spirito di abnegazione, ai nostri eroici medici e infermieri.
L'insegnamento che possiamo trarre da questa rilettura è che la situazione si protrarrà ancora a lungo, anche se le nostre condizioni di isolamento sociale sono di gran lunga migliori di quelle del 1630: abbiamo internet, i telefoni, che ci permettono di comunicare con i nostri simili. Dobbiamo cercare di non alimentare sentimenti di sospetto e ostilità verso chi è costretto a uscire per motivi di necessità e di rispettare le norme per fare in modo che questa situazione duri il meno possibile, sperando che "dopo" saremo tutti migliori.