giovedì 27 luglio 2023

AEREI

 


Aerei sorvolano


Il mio cielo d’estate


Portano gente lontano


Gente che evade


Gente che fugge


Portano acqua


Per spegnere i boschi.


Io non fuggo


Io non volo


Il mio volo si è fermato


Qui


Sulle colline che un tempo


Erano verdi e che 


Adesso


Portano i resti


Del grano tagliato


E si colorano del giallo vivo


Del sole che hanno bevuto.


Amo questa calura che salva


Amo le mie colline che si accavallano


Come gobbe di chilometrici cammelli


In un deserto che odora di stoppie


In questa quiete assolata.


Il sole e la quiete


Della mia isola 


Piena di Storia.



TANTE SICILIE

 Tante #Sicilie...#GesualdoBufalino 


"Dicono gli atlanti che la Sicilia è un'isola e sarà vero, gli atlanti sono libri d'onore. Si avrebbe però voglia di dubitarne, quando si pensa che al concetto d'isola corrisponde solitamente un grumo compatto di razza e costumi, mentre qui tutto è mischiato, cangiante, contraddittorio, come nel più composito dei continenti. Vero è che le Sicilie sono tante, non finirò di contarle. Vi è la Sicilia verde del carrubbo, quella bianca delle saline, quella gialla dello zolfo, quella bionda del miele, quella purpurea della lava.


 


Vi è una Sicilia “babba”, cioè mite, fino a sembrare stupida; una Sicilia “sperta”, cioè furba, dedita alle più utilitarie pratiche della violenza e della frode. Vi è una Sicilia pigra, una frenetica; una che si estenua nell'angoscia della roba, una che recita la vita come un copione di carnevale; una, infine, che si sporge da un crinale di vento in un accesso di abbagliato delirio...


 


Tante Sicilie, perché? Perché la Sicilia ha avuto la sorte ritrovarsi a far da cerniera nei secoli fra la grande cultura occidentale e le tentazioni del deserto e del sole, tra la ragione e la magia, le temperie del sentimento e le canicole della passione. Soffre, la Sicilia, di un eccesso d'identità, né so se sia un bene o sia un male. Certo per chi ci è nato dura poco l'allegria di sentirsi seduto sull'ombelico del mondo, subentra presto la sofferenza di non sapere districare fra mille curve e intrecci di sangue il filo del proprio destino.


 


Capire la Sicilia significa dunque per un siciliano capire se stesso, assolversi o condannarsi. Ma significa, insieme, definire il dissidio fondamentale che ci travaglia, l'oscillazione fra claustrofobia e claustrofilia, fra odio e amor di clausura, secondo che ci tenti l'espatrio o ci lusinghi l'intimità di una tana, la seduzione di vivere la vita con un vizio solitario. L'insularità, voglio dire, non è una segregazione solo geografica, ma se ne porta dietro altre: della provincia, della famiglia, della stanza, del proprio cuore. Da qui il nostro orgoglio, la diffidenza, il pudore; e il senso di essere diversi.


 


Diversi dall'invasore (che è più alto: il normanno non si può prenderlo a pugni, si può solo colpirlo al ventre con un trincetto...); diversi dall'amico che viene a trovarci ma parla una lingua nemica; diversi dagli altri, e diversi anche noi, l'uno dall'altro, e ciascuno da se stesso. Ogni siciliano è, di fatti, una irripetibile ambiguità psicologica e morale. Così come l'isola tutta è una mischia di lutto e di luce. Dove è più nero il lutto, ivi è più flagrante la luce, e fa sembrare incredibile, inaccettabile la morte. Altrove la morte può forse giustificarsi come l'esito naturale d'ogni processo biologico; qui appare come uno scandalo, un'invidia degli dei.


Da questa soperchieria del morire prende corpo il pessimismo isolano, e con esso il fasto funebre dei riti e delle parole; da qui nascono i sapori cupi di tossico che lascia in bocca l'amore. Si tratta di un pessimismo della ragione, al quale quasi sempre s'accompagna un pessimismo della volontà. Evidentemente la nostra ragione non è quella di Cartesio, ma quella di Gorgia, di Empedocle, di Pirandello. Sempre in bilico tra mito e sofisma, tra calcolo e demenza; sempre pronta a ribaltarsi nel suo contrario, allo stesso modo di un immagine che si rifletta rovesciata nell'ironia di uno specchio.


 


 Il risultato di tutto questo, quando dall'isola non si riesce o non si voglia fuggire, è un'enfatica solitudine. Si ha un bel dire – io per primo – che la Sicilia si avvia a diventare Italia (se non è più vero, come qualche savio sostiene, il contrario). Per ora l'isola continua ad arricciarsi sul mare come un istrice, coi suoi vini truci, le confetture soavi, i gelsomini d'Arabia, i coltelli, le lupare. Inventandosi i giorni come momenti di perpetuo teatro, farsa, tragedia o Grand-Guignol. Ogni occasione è buona, dal comizio alla partita di calcio, dalla guerra di santi alla briscola in un caffè.


 


Fino a quella variante perversa della liturgia scenica che è la mafia, la quale fa le sue mille maschere, possiede anche questa: di alleanza simbolica e fraternità rituale, nutrita di tenebra e nello stesso tempo inetta a sopravvivere senza le luci del palcoscenico.


 


È da questa dimensione tetrale del vivere che ci deriva, altresì, la suscettibilità ai fischi, agli applausi, all'opinione degli altri (il terribile " uocchiu d'e gghenti", l'occhio della gente); e la vergogna dell'onore perduto; e la vergogna di ammalarsi... 


 


Non è tutto, vi sono altre Sicilie, non finirò mai di contarle."

Gesualdo Bufalino

A buon intenditor....

 Il sistema collasserà se ci rifiutiamo di comprare quello che ci vogliono vendere, le loro idee, la loro versione della storia, le loro guerre, le loro armi, la loro nozione di inevitabilità. 

Ricordatevi di questo: noi siamo molti e loro sono in pochi. 

Hanno bisogno di noi più di quanto ne abbiamo noi di loro. 

Un altro mondo, non solo è possibile, ma sta arrivando. Nelle giornate calme lo sento respirare. 


Arundhati Roy

lunedì 24 luglio 2023

Bruciano, gli alberi,

 Bruciano, gli alberi,


Lanciando al cielo


Un ultimo anelito


Di pietà.


E mentre un contadino incauto


Fugge,


Portando con sé il peso


Della sua colpa,


La natura freme, implora.




Ormai non è rimasta che una misera


Distesa di cenere


E, dove prima giocavano i fanciulli gioiosi,


Godendo della frescura


E delle tenere gocce di rugiada,


Un cane randagio


Vaga


Contemplando incredulo


L'infausto esito


Della distruzione umana.




Or piove e, nella landa desolata,


Tu scorgi stupito


Un tenero germoglio.


La Natura non si arrende :


E' la vita che, prepotentemente


Ricomincia la sua battaglia


Gloriosa.


domenica 16 luglio 2023

LA CLASSIFICA DELLE CANZONI PIÙ ASCOLTATE

 Ieri sera ho seguito la classifica delle canzoni più ascoltate dai giovani.

I cantanti sono per me naturalmente semisconosciuti. 

Parlo di Mst Rain, Sangiovanni, ma anche Ultimo, Blanco e per finire a Marco Mengoni, il vincitore dell'ultimo festival di Sanremo. 

Ma quello che mi ha impressionato particolarmente sono i testi di quelle canzoni che sono andata a leggere di proposito. 

Testi tristi, per non dire catastrofici. 

Cito come esempio LA FINE DEL MONDO di Mister Rain, per non parlare di PAZZA MUSICA di Marco Mengoni. Testi che parlano di solitudine, di paura del futuro del mondo, di disagio esistenziale. 

Mi chiedo : ma dove sono finite quelle belle canzoni d'amore degli anni 70?

Come fanno i giovani a ricaricarsi ascoltando questo genere di canzoni e questa "pazza musica"? 

venerdì 14 luglio 2023

INDOVINATE L'ETÀ



 Vi sfido a indovinare che età abbia questa bella signora.

È un portento della natura. 

giovedì 13 luglio 2023

TRE FIORI

 Tre fiori 


Tre figli come tre gemme 

Di un'unica pianta. 

Tre fiori 

Dai colori diversi. 

Uno rosso intenso come la fiamma 

Di un camino acceso 

A riscaldar la notte buia

E fredda. 

La fiamma che distrugge 

E forgia 

Forme più elaborate 

Di un artigiano che è artista 

E crea. 

Un altro fiore dall'intenso 

Profumo 

Che diffonde armonia, fragranza 

Equilibrio 

Tutt' intorno. 

Un altro bianco e viola 

Che dà pace 

E serenità a tutti coloro che 

Lo sfiorano. 

Non cogliete quei fiori, 

Lasciateli vivere. 

Che spargano i loro semi 

Per produrre nuovi sogni. 

Anche quando la pianta morirà.