lunedì 24 maggio 2021

IL PRIMO BALLO

La sposa si faceva  attendere, mentre tutti gli invitati cercavano di sistemarsi ai tavoli apparecchiati del ristorante.

Miriam prese posto, insieme ai suoi genitori e suo fratello, in un tavolo per quattro, non molto distante da quello centrale, già predisposto per gli sposi.

Era il matrimonio di una vicina di casa che, quando Miriam era ancora una bambina, amava giocare con lei, portandola a casa loro e prendendosene cura amorevolmente.

Apparteneva ad una famiglia modesta, che viveva coltivando un piccolo appezzamento di terreno, infatti, al piano terra della casa, c’era una piccola stalla, con la mangiatoia, la paglia e tutto ciò che serviva per ospitare il mulo, strumento indispensabile ,allora, per il lavoro nei campi, oltre agli attrezzi da lavoro: le zappe, i rastrelli e così via.

Appena entrati si percepiva  l’odore caratteristico delle case dei contadini, un odore acre, che sapeva di terra bagnata, di fieno, di cucina affumicata.

 Oltrepassato il minuscolo pianerottolo, c’era una lunga e ripida scala in graniglia di cemento, con gli scalini dai bordi arrotondati, lungo i quali Miriam amava lasciarsi scivolare, iniziando la discesa dalla parte più alta della scala e ripetendo il percorso più e più volte. Questo gioco a casa sua era precluso perché gli scalini di marmo, oltre ad essere freddi a starci seduti, avevano gli spigoli vivi e risultavano quindi un po’ taglienti.

Miriam si trovava bene con Concettina, che era la sorella maggiore delle due uniche femmine, in una famiglia di cinque figli e, quando fu invitata al suo matrimonio, ci andò ben volentieri, consapevole del fatto che sarebbe stato un matrimonio alla buona, senza troppe pretese. 

A mano a mano presero posto anche gli altri invitati. Si trattava di gente modesta, vestita alla buona, e Miriam si sentiva quasi a disagio in quel suo vestito di lino celeste, a tubino, con la giacchetta in tinta e la borsetta in vernice nera come le scarpe, aperte, col primo tacchetto  che le consentivano i suoi tredici anni.

Non era andata dal parrucchiere perchè, pochi giorni prima, aveva dovuto agghindarsi per un altro matrimonio di ben altro livello. Lì, quasi, l’avevano messa in disparte, tutti presi a guardare e corteggiare le belle ragazze di buona famiglia che mettevano in bella mostra la loro eleganza , la loro avvenenza nonché la loro abbronzatura ( era il periodo dei tre mesi di vacanza al mare, per chi poteva permetterselo) . Miriam ci era rimasta un po’ male. Si sentiva brutta: era troppo alta, per la sua età, il collo troppo lungo, le spalle un po’ piccole, le gambe robuste e la pelle chiara dimostrava senza ombra di dubbio che , nell’estate che già volgeva alla fine,in quei giorni di inizio settembre, la sua vacanza l’aveva trascorsa a casa. 

Portava i capelli corti, alla Rita Pavone, la cantante che in quegli anni faceva letteralmente impazzire tutte le ragazzine, lei compresa, e al collo indossava, per l'occasione, il girocollo d'oro con una grande medaglia della madonna del rosario che le aveva regalato la sua madrina per la cresima. Sembrava decisamente più grande della sua età ,che lei teneva a rimarcare, perché in fondo, dentro, si sentiva ancora una bambina.

Ora , a quel matrimonio, avrebbe voluto rifarsi della brutta figura che credeva di aver fatto in quello precedente 

La sala era lunga e piuttosto stretta, interrotta da pilastri che ne sostenevano il soffitto. I tavolini erano messi di sbieco, in modo da consentire ai camerieri lo spazio necessario per servire agevolmente il pranzo.

 Le pareti, tinteggiate di bianco, volevano dare più luminosità e ampiezza al locale, le cui ampie vetrate, disposte per tutta la lunghezza e sguarnite di tende, si aprivano ad una splendida veduta sul lago.

Quando, giunti gli sposi, i camerieri iniziarono a distribuire le portate, Miriam, da ragazza di buona famiglia, educata alle buone maniere, dispose il tovagliolo sulle gambe, assunse una postura eretta , niente gomiti sul tavolo e, aiutandosi con coltello e forchetta, cercava di darsi da fare per apparire un’esperta di galateo a tavola e non destare quindi alcun dubbio sul fatto che ella a casa propria si comportasse proprio così.

I problemi si presentarono allorquando, nel servire il secondo, i camerieri le posero nel piatto delle anatre arrosto. No, quelle non avrebbe proprio potute mangiarle con coltello e forchetta: avrebbe dovuto sporcarsi le mani per rosicchiare quelle alucce e, se avesse usato le posate, le sarebbero sicuramente saltate via dal piatto. Così ordinò una bistecca.

Tra una portata e l’altra, i rumori provenienti dalla sala discretamente affollata non davano agio ai quattro commensali di interagire fra loro e poi Miriam era tutta presa a guardarsi intorno nel caso scorgesse qualcuno che già conosceva, oltre alla sposa. Suo padre, d’altro canto, era tutto impegnato a godersi serenamente un pasto per cui non aveva dovuto lavorare, per guadagnarselo, e una festa, una delle poche, per cui non aveva dovuto darsi da fare per organizzarla, dato che era il maggiore di sei figli e, non avendo il padre, aveva dovuto provvedere al matrimonio delle sorelle.

Anche sua madre appariva molto rilassata, mentre suo fratello era, come sempre, assorto nei suoi pensieri. Così Miriam cominciò a sentirsi un po’ frustrata nella sua vana ricerca di persone conosciute, ma rassegnata nel dover assicurare una presenza che era più che altro un dovere, quando ad un tratto, con la coda dell’occhio, quasi distrattamente, si accorse di due strani occhi che trapelavano da due occhialoni da miope con la montatura spessa e nera.

Era seduto al tavolo accanto al suo, ma non lo aveva ancora notato.

Aveva l’apparente età di quattordici anni, quasi buffo nel suo vestito principe di Galles, con la camicia bianca e la cravatta stretta e scura come i capelli tagliati corti come fosse appena uscito dal barbiere.

 Dall’aspetto appariva signorile e qualcosa le disse che, da quando erano seduti lì, non le aveva mai tolto gli occhi di dosso.

 Lei non capiva perché la stava osservando così intensamente. “Forse ho commesso qualche errore nel modo di mangiare?” pensò e nello stesso tempo fu contenta che un quasi coetaneo la ritenesse degna di una qualche attenzione.  Forse avrebbe voluto parlare di dischi e di canzoni, che erano i suoi argomenti preferiti quando stava con le compagne, oppure di scuola!

Cercava di non farci molto caso quando si accorse che lui aveva cambiato posto per poterla osservare meglio e si era messo quasi di fronte a lei.

Miriam cercava di non corrispondere a quello sguardo ma, tutt’a un tratto, quell’ambiente così deprimente, fino ad un attimo prima, le sembrò animarsi di una nuova vitalità e all’improvviso le parve che tutta l’aria profumasse d'amore. 

E le scappò un sorriso.

Più tardi, finito il pranzo, i tavoli in fondo furono scostati e cominciarono i balli. 

I balli?  Ma non usava più ballare ai matrimoni! Pensò Miriam. Quella gente era proprio all’antica! Ma intanto il padre, che cominciava a divertirsi, decise di non salutare per andar via, come la ragazza pensava avesse fatto, e di rimanere un po’ a godersi lo spettacolo.

Gli sposi aprirono le danze e,a seguire, i giovanotti si affrettarono ad invitare le ragazze ( a quei tempi era l’unico modo consentito per tentare qualche approccio). Miriam, scambiata per una sedicenne, fu anch’essa invitata a ballare ed ella, un po’ impacciata, perché non si pensasse che fosse scortese, accettò.

La madre la guardava con attenzione e una punta di gelosia. “ La mia bambina!”, pensava, e non riusciva a rassegnarsi di doverla vedere diventar grande.

L’impaccio finì subito quando si avvicinò il ragazzo notato prima: aveva quasi la sua età, pensava Miriam, e si poteva parlare di canzoni o anche di scuola.

“ Come ti chiami?” – iniziò subito.

“ Sebastian” - rispose.

“Quanti anni hai?”

“Diciassette”

“Che scuola frequenti?”

“Il liceo”

E fu subito amicizia.

La madre si tranquillizzò e il padre continuava ad essere rilassato dal fatto che la propria figlia avesse trovato un coetaneo per divertirsi un po’.

Così quel ballo durò due ore.

Accaparratisi la postazione più vicina al juke box, si divertivano a cambiar canzoni e subito ricominciare a ballare. Il ballo della mattonella era quello che andava più in voga in quell’estate del 1964 e così, tra John Foster, Petula Clark, Rita Pavone, Celentano e Peppino di Capri, trascorsero in fretta due orette, chiacchierando del più e del meno, lui con le mani intorno alla vita di lei e lei con le mani sulle spalle di lui.

Ma quando Sebastian inserì il disco di John Foster “Se questo ballo non finisse mai”, lei gli rispose subito con un’altra canzone : “Non ho l’età, non ho l’età per amarti, non ho l’età…”, infatti gli confessò di avere solo tredici anni.

Il gioco diventava sempre più intrigante e, quando la madre di Miriam decise che era giunta l’ora di andar via, si salutarono con un po’ di magone . Chissà quando si sarebbero rivisti!


Sebastian rimase ancora un po’ nella sala e, pervaso da un senso di smarrimento , non capiva cosa gli stesse succedendo. 

 Più tardi si recò coi genitori a casa della sposa per gli auguri di rito. Sperava di incontrarla ancora lì ma Miriam era già andata a casa sua. Chissà cosa sarebbe successo se avesse saputo che la sua casa era a due passi da quella dei vicini!

 Dopo aver salutato gli sposi, mentre coi suoi si avviava in macchina verso la sua cittadina, fu assalito da una profonda tristezza , come se un senso di vuoto  gli piombasse addosso, aveva la sensazione di aver sfiorato e perduto qualcosa di importante, e una lacrima gli scivolò sulla guancia.

Dietro i vetri gli alberi si rincorrevano sempre più veloci.

Qualche mese dopo, iniziata la scuola, Sebastian la cercò in tutti gli istituti superiori della città e, alla fine, seppe che si trovava in collegio, così le inviò una lettera:

“….. i tuoi occhi sinceri, la tua voce così dolce, mi hanno fatto innamorare follemente di te”.

Ma lei gli scrisse subito: “Ho solo tredici anni”

Sebastian, deciso ad aspettarla, comprò tutti i dischi che avevano ballato a quel matrimonio e, sulla copertina di ognuno, incise le iniziali “M.S.”.

Più volte si recava nella chiesa del collegio ad ascoltar la messa sperando di vederla, ma Miriam, da ligia collegiale, non si girava mai.

Quando le suore, la mattina, facevano il giro col pulmino per accompagnare le collegiali nei vari istituti, Sebastian le attendeva davanti al liceo, sperando, tra le tante ,di vedere Miriam. Ma lei era già scesa.

Certe sere di primavera, Sebastian, con un gruppo di ragazzi, si fermava sotto la finestra del dormitorio delle collegiali e, tutti insieme, col sottofondo del mangiadischi dell’epoca, gridavano a squarciagola i loro canti d’amore.

Le collegiali, eccitate , si accalcavano dietro la finestra, ognuna sperando ti vedere il loro ragazzo del cuore.

Ma Miriam dormiva. Quei canti non potevano essere certo per lei: aveva solo tredici anni!

Sebastian intanto collezionava tutte le foto che riusciva a ricavare dai negativi lasciati dal fotografo quando Miriam andava a stampare le sue fotografie e così, dopo alcuni anni, fu in grado di riconoscerla mentre passeggiava per una delle vie di Catania. Subito corse a casa a prendere uno di quei dischi che portava sempre con sé e, sempre correndo, tentò di regalarglielo. Ma Miriam non lo riconobbe: aveva la barba e i capelli lunghi. Come si azzardava quello sconosciuto a volerle regalare un disco? Sarà sicuramente pazzo, pensò. E così lo trattò male. 


Si rividero dopo quasi cinquant'anni. 

Lui era diventato medico e lavorava all'ospedale. Lei una gradevole sessantenne da poco in pensione. Entrambi erano sposati. 

  • Dopo essersi salutati cortesemente, "Ti riconosco" - disse, e rimasero qualche minuto a guardarsi in silenzio sorridendo increduli. A lei venne una strana voglia di ballare ma lui disse che non sapeva farlo. Era molto cambiato, non aveva più i capelli di un tempo e il viso stanco era solcato da impercettibili rughe. 

L'aveva contattata su fb e lei dapprima aveva stentato a riconoscerlo, ma poi ricordò tutto e le sembró di colpo di tornare indietro nel tempo, di ridiventare la ragazzina che era, ma finalmente sicura di sé. 

Si erano parlati qualche volta al telefono e un clima di fiducia reciproca aleggiava fra i due. 

Miriam era contenta di aver ritrovato un vecchio amico a cui si sentiva affine e si rese conto di non aver mai dimenticato quel ballo e come si sentiva serena allora. 

"Siamo figli della stessa cultura e dello stesso sentire", le aveva detto un giorno. 

Poi le regalò il libro che le aveva promesso e si salutarono come se dovessero rivedersi. 

Ma non si rividero mai più. 

Però si sentirono spesso. 


Adesso riposa nella nuda terra, come aveva sempre agognato, in un vecchio cimitero abbandonato, ma i suoi libri e le sue poesie continuano a parlare di lui. 







venerdì 14 maggio 2021

DESTRA E SINISTRA : LA DIFFERENZA È SCRITTA NEI GENI

 Secondo i più recenti studi dello psicologo Satoshi Kanazawa e del neurologo David Amodio, le preferenze politiche sarebbero condizionate dalla struttura del cervello che si eredita alla nascita.


L'essere conservatori è infatti la modalità di base degli esseri umani, perchè implica un particolare attaccamento alla "tribù" ristretta di parenti e amici, paure irrazionali che portano ad una maggiore religiosità e anche una tendenza alla poligamia maschile: ciò è dovuto ad un'alta attività dell'amigdala.

Nei progressisti , invece, sembra essere più attiva la corteccia cingolata anteriore, che blocca l'impulsività, dando più tempo per riflettere sulle proprie azioni.

Da queste premesse sembrerebbe impossibile convincere un elettore conservatore a votare per uno schieramento progressista e viceversa.

Ma il problema che io mi pongo è se sia possibile, mediante un adeguato allenamento, agire sulle aree cerebrali interessate attivandole.

Io penso di sì, altrimenti non sarebbe stata possibile l'evoluzione