Che fine farà la lingua italiana? Me lo chiedo da tempo, dato che leggendo qua e là e ascoltando la tv, mi rendo conto che la molteplicità espressiva si va sempre più esaurendo e soprattutto la correttezza ortografica e sintattica è qualcosa su cui si sorvola facilmente.
Anch'io adesso, quando scrivo, sono più attenta al contenuto di quello che dico piuttosto che alla forma e mi rendo conto di aver perso quel rigore a cui nella scuola che io frequentavo e nei vari concorsi che via via sostenevo, cercavano di abituarci.
Purtroppo mi rendo conto che la lingua è un codice e quindi nasce da convenzioni che impongono certe regole, venendo meno le quali si pregiudica perfino la stessa capacità di comprendersi.
Oggi purtroppo, il rispetto di tali regole è molto vago: la nostra lingua è contaminata dai dialetti, dai gerghi e dai termini stranieri, che noi spesso preferiamo perchè fa più chic.
A dare corpo alla mie vaghe idee ,è intervenuto un articolo di Piero Citati ,apparso su la Repubblica, in cui egli,dopo un appassionante discorso sulla evoluzione storica della lingua italiana, giunge alla conclusione che è venuto il momento di salvare la nostra lingua, una superlingua, la definisce," che contiene in sé stessa decine di lingue e di stili parziali. Racchiude molte isole, spesso diversissime tra loro: eppure tutte queste isole fanno parte della stessa superlingua". Per questa caratteristica egli assimila maggiormente l'italiano al greco più che al latino dal quale vogliamo che essa derivi.
"Se vogliamo conoscere quale sia la vera forma dell´italiano, dobbiamo leggere lo Zibaldone,"- scrive Citati-" dove Leopardi studia la nostra lingua con una passione e una precisione, che nessuno ha mai eguagliato."
Singolare, nel suo escursus storico, è l'analisi dell'italiano nell'immediato periodo post-fascista, in cui si distiguono non una ma due lingue diverse: quella democristiana,che "affondava soprattutto nel linguaggio ecclesiastico, avvocatesco e giuridico: era ramificata, aggrovigliata, spesso (come nel caso di Aldo Moro) incomprensibile"; quella comunista che, al contrario,"soffocava sotto il peso delle formule marxiste o paramarxiste, ricalcate sulla prosa sovietica. Non aveva né vivacità né movimento".
Non mancarono successivamente le contaminazioni fra i due linguaggi,che produssero incredibili mostri linguistici.
Per quanto riguarda l'influenza dell'inglese, Citati osserva che la sua diffusione, pur essendo capillare,ha interessato soltanto gli aspetti lessicali, ma non ha sconvolto la struttura della nostra lingua, che è rimasta intatta,dimostrando così il suo essere una lingua piuttosto conservatrice.
Che ne è dell'italiano di oggi?
". Il primo segno- scrive Citati- è la scomparsa quasi completa delle lingue politiche: il democristiano e il sovietico" : oggi i politici usano un liguaggio più simile a quello dei loro ascoltatori; in televisione è comparso quel mostro linguistico dei talk-show, in cui chi polemizza, chi insulta, chi offende, chi dottoreggia, tutti cercano di strizzare l'occhio agli ascoltatori, non riuscendo tuttavia ad attrarre la loro simpatia, mentre nel frattempo si va diffondendo una sotto-lingua, come egli la definisce, ed è quella che possiamo trovare nelle scuole, dalle primarie all'università, in cui docenti e studenti producono un linguaggio che si inquina reciprocamente, dato che gli stessi docenti sono ormai inconsciamente influenzati dal lessico che emerge dagli elaborati dei loro studenti , con cui continuamente hanno a che fare, elaborati in cui si sconosce la punteggiatura, si passa da un errore ortografico ad un altro, si sconosce la maniera di esprimere anche i sentimenti più semplici( io ne ho fatto l'esperienza).
Non è un caso che , in una famosa università di Torino, come lessi alcuni giorni fa, gli studenti iscritti al primo anno in Medicina, vengono sottoposti a corsi preparatori di lingua italiana, dato che,durante il periodo del corso di laurea essi non avranno più modo di colmare le lacune che si sono lasciati dietro nei precedenti anni scolastici.
Che fare allora? Il rimedio proposto è quello vecchio di sempre: la lettura ( di libri), perchè non è vero,prosegue Citati, che i nostri bambini cosiddetti "nativi digitali", non sapranno dedicare qualche ora del loro tempo alla lettura, sottraendola agli altri passatempi tecnologici, basta semplicemente che siano educati a fare ciò, e in questo la responsabilità ricade naturalmente sui genitori e sugli insegnanti.
3 commenti:
E' un post molto interessante. Condivido anche la conclusione. Quanto al far appassionare la prole alla lettura, avrei solo una domanda...COME? forse proibendo loro, nella maniera più assoluta, di leggere - potrebbe essere un'idea lol. Scusa l'ironia un po' amara, ma ammetto che non sono molto ottimista su questo.
Beh, più che le proibizioni secondo me funzionerebbe l'esempio:
vedere un genitore che legge e si appassiona alla lettura può spingere i ragazzi a fare altrettanto.Disseminando poi la casa di libri e giornali, in modo apparentemente casuale, farebbe il resto.
Bel post e ottima la conclusione: occorre abituare i giovanissimi a leggere e concordo con te sul valore dell'esempio, che è sempre la via migliore.
Saluti
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